Un vasto cimitero di tarda età romana, risalente al V-VI secolo d.C., con una sessantina di scheletri vittime di una catastrofica epidemia di peste, è stato scoperto alla Galleria degli Uffizi durante i lavori nell’area sottostante il salone di lettura della Biblioteca Magliabechiana, attigua a piazza del Grano. I lavori, svolti nell’ambito del progetto per la realizzazione del progetto dei Nuovi Uffizi, ovvero l’ampliamento del museo, vedono impegnate tre soprintendenze (Polo Museale, Beni architettonici e Beni archeologici).
La collocazione del cimitero sopra un rilievo nei pressi del fiume Arno, in una zona comunque oggetto di inondazione nelle fasi di maggiore portata, e la posizione, talvolta scomposta, degli inumati deposti affiancati testa-piedi, sono chiari indizi, a parere degli archeologi, di inumazioni realizzate in fretta probabilmente in concomitanza con l’insorgenza di una malattia contagiosa che rapidamente portò alla morte di un gran numero di abitanti della Firenze della tarda antichità e del primo alto Medioevo. In fretta e furia fu realizzato un cimitero con numerose fosse comuni. Altri elementi che concorrono a rendere realistica l’ipotesi dell’epidemia, hanno spiegato gli archeologi, sono la vicinanza delle fosse tra loro e l’orientamento non omogeneo degli inumati, indizi di un’attività cimiteriale concentrata in un arco temporale molto limitato e tesa al massimo sfruttamento dello spazio disponibile per le sepolture.
Appare verosimile che l’evento drammatico che determinò la realizzazione di questo cimitero d’emergenza sia da collocare nella stagione calda, quando l’Arno in secca si ritirava nella parte sud dell’alveo rendendo praticabile il suolo formato dai suoi sedimenti, depositati durante le fasi di piena invernale in sponda destra. Le indagini antropologiche, palinologiche e paleobotaniche intraprese con il rinvenimento della necropoli potranno fare luce sulle reali cause della “morìa” e sugli aspetti socio ambientali di questo ampio campione di popolazione. Dagli scavi archeologici, secondo gli studiosi, è emersa ”la fotografia istantanea” di una catastrofe di proporzioni immani che colpì Firenze in età altomedievale. Una catastrofe che ha sicuramente contribuito al noto lungo periodo di decadenza della città e alla sua quasi scomparsa dalla storia, ma forse anche da sola sarebbe sufficiente a spiegarlo.
Quella che è stata ritrovata è una piccola porzione di un’area cimiteriale vasta, costituita da numerose tombe a fossa multiple, stipate una accanto all’altra. In ognuna di esse i defunti furono deposti pressoché simultaneamente, o in un brevissimo arco temporale. Questa tipologia di inumazione è spesso la testimonianza di avvenimenti disastrosi per la popolazione, come un massacro o un’epidemia. Le fosse comuni, che ospitavano ognuna almeno quattro-cinque cadaveri ma anche più di dieci, e scavate dovunque vi fosse spazio disponibile, esprimono la necessità di seppellire rapidamente ogni giorno un gran numero di morti. Anche la posizione e la disposizione dei defunti all’interno delle fosse attestano inequivocabilmente una situazione di emergenza.
Si osservano, infatti, caratteristiche di sepoltura frettolosa, spesso senza atti di composizione del cadavere in atteggiamento rituale; sembra piuttosto che i defunti siano stati, se non proprio buttati giù, calati e sistemati di taglio, uno accanto all’altro, con il solo obiettivo di occupare meno spazio possibile. Una caratteristica peculiare di questa necropoli è l’orientamento cranio-caudale alternato dei corpi, sempre allo scopo di guadagnare spazio. I bambini venivano in genere incastrati nei ristretti spazi liberi tra gli adulti. Esclusa l’ipotesi di un eccidio collegabile con le varie invasioni barbariche per l’assenza di traumi mortali da ferita e per l’aspetto delle giaciture (più fosse comuni a luogo di una sola fossa) ed esclusa la morte per fame in fase d’assedio o per malattie lungo decorso, rimane solo la possibilità di una morìa imponente e rapida, quale si verifica nel corso di un’epidemia ad alto contagio e ad evoluzione acuta e mortale, come ad esempio la peste, il colera, ladissenteria, l’influenza.
Nei secoli successivi l’area, persa oramai la memoria del cimitero, venne nuovamente utilizzata come zona di scarico dei materiali di risulta. La stratigrafia archeologica soprastante le sepolture risulta, infatti, essere un articolato e massiccio accumulo di materiali di riporto la cui formazione data a partire dal VII fino al XII-XIII secolo. Tra XII e XIII secolo l’area, a seguito della necessità di nuovi spazi, venne edificata ed urbanizzata. Riferibile alla fase basso medievale, nell’ambito della zona interessata dalle sepolture, sono alcune fondazioni murarie e soprattutto pozzi di smaltimento per liquami e acque reflue pertinenti ai cortili retrostanti edifici residenziali individuati nello scavo degli scantinati degli Uffizi di Levante. Con l’intervento di Giorgio Vasari, il quartiere medievale venne in gran parte sventrato per far posto al nuovo corpo di fabbrica destinato ad accogliere le Magistrature Granducali.
Il rinvenimento di limi e sabbie fluviali è indizio di come quest’area, a sud dell’originaria cerchia muraria romana, fosse periodicamente occupata dal fiume Arno che vi depositava i sedimenti. Sono state rinvenute soltanto tracce di frequentazioni sporadiche pertinenti ad attività di scarico, come testimoniato dal rinvenimento di accumuli di materiali edilizi e lapidei relativi alla fase di ampliamento urbano della fine del I – inizi II secolo d.C. Questa frequentazione, verosimilmente legata alle fasi di “secca” dell’Arno e caratterizzata da scarichi di materiali di risulta, si interruppe nel momento in cui l’area venne utilizzata come necropoli (inizi V – metà VI secolo).
La cronologia della necropoli, una volta precisata con i criteri archeologici e attraverso la datazione assoluta con il radiocarbonio, potrebbe risultare compatibile con quella della peste giustinianea. In questo caso di apre una prospettiva intrigante: identificare l’agente patogeno responsabile della peste(Yersinia pestis) da ossa o denti. A questo proposito, sono già in corso contatto con un laboratorio di paleogenetica dell’Università di Mainz, dove un’équipe svolge una ricerca specializzata in questo campo. Ma a parte l’epidemia e le sue cause, che pure è il tema di maggiore interesse per gli studiosi e per il pubblico, questo gruppo di una sessantina di scheletri è per gli antropologi di estrema importanza scientifica perché rappresenta un campione di dimensioni notevoli della popolazione fiorentina tra tardo antico e alto medioevo. Finora c’erano a disposizione solo piccoli nuclei racimolati da altri scavi urbani di modesta ampiezza realizzati nel corso degli anni a seguito di lavori urbanistici in diverse zone della città. Invece adesso si dispone di un campione consistente che permette di disegnare un quadro della popolazione fiorentina e delle sue condizioni di vita, di salute, di alimentazione, di attività lavorative.
da toscananews.net
foto da firenze.repubblica.it