«Costantino e le sfide del cristianesimo», un volume collettivo per il Pozzo di Giacobbe. Un’opera coraggiosa che svela l’ uso pubblico della storia teso a legittimare il potere temporale della Chiesa.
L’imperatore Costantino, la sua conversione al cristianesimo, la battaglia di Ponte Milvio, l’Editto di Milano costituiscono uno dei più riusciti modelli di «uso pubblico della storia», per riprendere l’espressione di Nicola Gallerano. Un processo con cui – scriveva Gallerano nel volume Le verità della storia. Scritti sull’uso pubblico del passato, manifestolibri –, mediante i mezzi di comunicazione di massa, la scuola, i monumenti si promuove una «lettura del passato polemica nei confronti del senso comune storico o storiografico» e si usa la storia per la battaglia politica.
Complice l’anniversario numero 1.700 della promulgazione di quello che è spesso chiamato Editto di Milano, il 2013 appena concluso è stato costellato di iniziative per celebrare la ricorrenza dell’evento dell’anno 313. Mostre, francobolli, pubblicazioni, numeri speciali di riviste anche a grande tiratura, trasmissioni televisive che hanno contribuito a rafforzare nell’immaginario collettivo convinzioni tanto acquisite quanto storiograficamente errate, ovvero che la battaglia di Ponte Milvio fra Costantino e Massenzio fu vinta grazie ad un sogno-visione e che a Milano fu promulgato un editto.
Arriva allora opportuna la pubblicazione di Costantino e le sfide del cristianesimo. Tracce per una difficile ricerca, curata da Stanislaw Adamiak e Sergio Tanzarella (Il Pozzo di Giacobbe, pp. 288, euro 23). Un volume collettivo coraggioso perché nato all’interno di un «libero seminario» di storia della Chiesa tenuto nell’università Gregoriana, ateneo pontificio retto dai gesuiti, uno dei «templi» della cultura cattolica, a cui hanno partecipato giovani storici provenienti da decine di nazioni, per lo più extra-europee. E questa è stata una delle condizioni che ha reso possibile la realizzazione di una ricerca non viziata da pregiudizi romanocentrici. L’altra, necessaria in ogni ricerca, è il ritorno rigoroso alle fonti, per disinnescare «i meccanismi di un uso pubblico della storia del cristianesimo e dei mascheramenti del potere che ha costruito la figura di un Costantino cristiano al quale Dio concede potere e protezione a cominciare da un campo di battaglia fino all’indizione di un Concilio». Il risultato è un libro che problematizza la questione costantiniana, liberando il campo da semplificazioni e falsificazioni attorno ai nodi più discussi della vicenda di Costantino.
Come appunto l’Editto di Milano del 313, erroneamente considerato il primo provvedimento di tolleranza per i culti – fra cui il cristianesimo –, poiché già due anni prima, a Nicomedia, l’imperatore Galerio, aveva emanato un provvedimento grazie al quale il cristianesimo era diventato «religione lecita». Che a Milano sia stato promulgato un editto è dubbio, in ogni caso non dal solo Costantino: a Milano si sono incontrati i due «augusti» dell’epoca, Costantino e Licinio, per discutere questioni relative «al rispetto della divinità», successivamente diventate norme che hanno assicurato ai cristiani la libertà religiosa e la restituzione dei luoghi di culto confiscati. Del resto dell’Editto non esiste alcun testo, ma solo una lettera inviata al governatore della Bitinia da Licinio dopo il suo arrivo a Nicomedia nel giugno 313 in cui si fa riferimento alle decisioni di Milano.
La vittoria finale di Costantino, secondo la dinamica per cui la storia viene scritta dai vincitori (le fonti principali sono Eusebio e Lattanzio, cristiani e costantiniani), ha oscurato la figura di Licinio. Ed essendo Costantino il primo imperatore ad optare per il cristianesimo, la legislazione del 313 e successiva – che, fra l’altro, concedeva al clero l’esenzione dal pagamento delle tasse – si è andata configurando come primo editto di tolleranza del primo imperatore cristiano.
Altri due nodi, correlati fra loro: il sogno-visione di Costantino alla vigilia della vittoriosa battaglia di Ponte Milvio del 312, la conversione e il battesimo dell’imperatore. Le versioni di Eusebio e Lattanzio non coincidono: Costantino viene avvertito in sogno di segnare sugli scudi dei suoi soldati il nome di Cristo, ma ha anche una visione della croce con la scritta Hoc signo victor eris (con questo segno sarai vincitore). Nelle fonti non cristiane si segnala però che due anni prima lo stesso Costantino, in Gallia, ebbe una visione diversa: non del Dio cristiano, ma del paganoSol invictus accompagnato da tre X, i successivi tre decenni di regno. Evidente quindi una cristianizzazione a posteriori dell’apparizione pagana. Avvalorata dal fatto che nell’Arco di Costantino, successivo alla battaglia di Ponte Milvio ma precedente ai testi di Lattanzio ed Eusebio, non vi è alcun riferimento al Dio cristiano, bensì diverse divinità pagane e la generica iscrizione di una vittoria instinctu divinitatis (per ispirazione di una divinità). Così come non vi è alcuna evidenza storica della conversione di Costantino, che peraltro sarebbe stato battezzato a Nicomedia poco prima della sua morte nel 337 e non al Laterano da papa Silvestro. Chiaro il disegno politico: rafforzare il papato e preparare la strada alla (falsa) Donazione di Costantino – l’imperatore convertito concedeva al papa il potere sull’Italia –, fondamento del potere temporale e dello Stato pontificio. Più che alla fede cristiana, allora, quella di Costantino è una conversione alla Chiesa, alleata dell’impero e utile al consolidamento del proprio potere.
Luca Kocci da ilmanifesto.it