Alla fine del XIX secolo, l’archeologo Hjalmar Stolpe spese diversi anni a scavare i cimiteri vicino a Birka, città sull’isola svedese di Björkö molto importante per il commercio in epoca vichinga.
Nella tomba di una donna sepolta nel IX secolo, i suoi scavi hanno portato al ritrovamento di un anello argentato con una pietra color porpora, ora nelle collezioni del Museo di Storia Svedese. I ricercatori hanno confermato che l’anello, recante un’iscrizione araba, fornisce una rara prova del contatto tra i Vichinghi e il mondo islamico.
Tra il IX e l’XI secolo, i Vichinghi percorsero i mari del mondo, coprendo distanze mai raggiunte prima. Leif Eriksson, figlio di Erik il Rosso, è ritenuto aver condotto la prima spedizione europea in America, quasi cinque secoli prima di Colombo. Ci sono inoltre molte fonti scritte che suggeriscono un contatto dei Vichinghi col primo mondo islamico, viaggiando fino a Costantinopoli e persino a Baghdad.
Mentre nell’Europa Occidentale diventarono famosi come spaventosi guerrieri dediti a saccheggi e distruzioni ovunque andassero, i Vichinghi interagirono con la regione araba soprattutto in qualità di mercanti e commercianti, offrendo beni come miele e pellicce in cambio dell’argento che loro stimavano moltissimo.
Tuttavia, poiché i resoconti su questi incontri erano solitamente accompagnati da riferimenti come “giganti e dragoni”, è dubbio che tutto fosse veritiero.
L’anello trovato nella tomba di Birka costituisce una prova fisica del contatto fra questi due mondi. In uno studio pubblicato sulla rivista Scanning, i ricercatori hanno confermato che si tratta dell’unico anello con un’iscrizione araba mai trovato in un sito archeologico vichingo. Birka si trova a 30 km da Stoccolma, e dal 1993 è un sito protetto dall’UNESCO.
L’iscrizione è scritta in cufico, uno stile calligrafico dell’arabo, comune tra l’VIII e il X secolo. Si legge: “il-la-la”, che il team ha tradotto con “per/a Allah”. L’anello era stato in origine catalogato come placcato argento e ametista, ma quando i ricercatori (coordinati da biofisico dell’Università di Stoccolma Sebastian Wärmländer) hanno esaminato la sua composizione con un microscopio elettronico a scansione, hanno scoperto che era composto da una lega d’argento e vetro colorato.
I ricercatori avvertono che sebbene un anello fatto con dei materiali così poco costosi possa oggi essere considerato come un “falso” di poco valore, per i Vichinghi non sarebbe stata la stessa cosa. Gli abitanti di Medio Oriente e Nord Africa producevano vetro già da migliaia di anni, ma nell’antica Scandinavia questo sarebbe stato considerato ancora un materiale esotico. La loro analisi sull’anello non ha trovato tracce d’oro sulla superficie, ma ha trovato ancora i segni di lima, presumibilmente fatti durante la produzione.
Dato che la superficie non mostra segni di usura, anzi i segni di produzione sono ancora visibili, i ricercatori hanno concluso che l’anello probabilmente passò da un argentiere arabo alla donna nella tomba con, in mezzo, pochissimi proprietari. Hanno comparato le sue buone condizioni con quelle delle monete importate (principalmente dall’Afghanistan) anch’esse trovate nella tomba, che erano consumate dall’uso. A causa di questo i ricercatori ipotizzano che la donna, o qualcuno a lei vicino, possa aver visitato o addirittura essere originario del Califfato islamico.
Sebbene la donna nella tomba fosse vestita con abiti tradizionali scandinavi, lo stato delle sue ossa ha reso impossibile determinare la sua etnicità. In conclusione, potremmo non sapere mai esattamente come la donna e il suo anello si inseriscano nella storia tra i Vichinghi e il mondo musulmano – ma la loro presenza conferma certamente che i contatti ci furono.
da ilfattostorico.com