Con questo intervento si presentano i dati preliminari relativi alla III° campagna di scavi acheologici, presso il vicus di Castel Pagano, nel territorio di Apricena (FG).
I lavori di scavo, cominciati il 23 Giugno 2008 e terminati a Giugno 2009, sono stati finanziati con fondi POR Puglia 2000-2006, ed hanno come scopo principale la valorizzazione e la fruizione turistica di questo sito di altura, uno tra i tanti presenti sul massiccio del Gargano.
Le indagini archeologiche si stanno concentrando su due edifici principali: il mastio e la chiesa.
Il mastio è posto nel punto più alto del vicus, da cui si gode un panorama a 270°, a partire dal massiccio della Maiella a Nord, attraversando tutto il Tavoliere fino a Foggia, sullo sfondo a sud.
Lo scavo interessa i due ambienti interni, divisi da un muro in pietra a faccia vista, in cui sono state ricavate due rampe di scale alte e strette, con funzione di servizio, grazie alle quali si poteva accedere internamente dal piano superiore.
Questo, con una altezza di circa m.5, è testimoniato dalla presenza delle tracce di alloggiamento delle travi lignee per sorreggere il solaio e da archi di scarico, con funzione decorativa, su tutti i lati interni.
I restauri precedenti hanno reso meno leggibile l’assetto originario delle strutture murarie, che hanno delineato una sequenza stratigrafica,complessa con almeno 9 fasi antropiche.
La fase 2 (US 102) costituita dal completo riempimento della superficie del mastio di clasti calcarei inerenti l’alzato distrutto delle murature con uno spessore di m. 1,5-1,8 che copre una fase 3 relativa ad un violento incendio (us 106-125) nell’ambiente 1 e nel 2( us 109-110-125), con un livello di terra combusta spessa m. 0,15, alla stessa fase và riferita la realizzazione del mastio.
Al di sotto della massicciata(fase 4), calcinata dal fuoco sovrastante, compaiono i resti di un pilastro circolare del diametro di m.1,8 in pietra (us 122) pertinente ad un edificio più antico di cui non si conosce altro.
La fase 6 è determinata dalla presenza di una fornace con annesso crogiolo in terra concotta di forma circolare (us 138-139), per la fusione del bronzo, da cui provengono numerose scorie e resti di fusione.
La fase 7 riscopre una planimetria di un edificio imponente di forma ellittica (usm 121), ed al di sotto un ulteriore struttura di forma pentagonale, che oblitera gli strati fin ora più antichi d tutto il vicus: l’età del Bronzo medio con frammenti ceramici rinvenuti tra grossi massi calcarei che al momento non è chiaro se appartengano ad una volta di grotta crollata, o se relativi ai resti di strutture abitative ricavate nella roccia vergine.
La chiesa è posta ad un livello più basso rispetto al mastio, su un gradone artificiale ricavato in parte tagliando il costone calcareo.
L’area oggetto di indagine è situata tra la cappella di sinistra e la navata centrale, lungo il lato ovest.
Alla luce dei nuovi dati di scavo, quest’area assume i connotati di un portico con colonne, probabilmente affrescato, riutilizzato come necropoli, in un momento storico compreso tra la fine del XIII e l’inizio del XIV sec d.C. Dal lato ovest, sono emersi numerosi frammenti di intonaco dipinto policromo con sintassi sia in stile geometrico con triangoli isosceli che ricordano figure di troni, e motivi metopali, sia in stile naturalistico con tracce di foglie lanceolate verdi e panneggi di tessuti pertinenti a figure umane: i colori maggiormenteutilizzati sono il giallo ocra,il rosso, il nero, il blu.
Dall’analisi dei frammenti , si delinea con molta probabilità una sola mano esecutrice, le pennellate sono regolari e sempre stese con il medesimo andamento della mano, il pigmento colorato si è ben mantenuto, e non sembra che ci siano più strati di colore. Sicuramente erano presenti vele affrescate, visto la presenza di superfici colorate concave.
Dal portico si accedeva alla chiesa, con almeno due scalini, di cui si hanno solo le tracce dell’espoliazione, avvenuta per scavare le fosse per la sistemazione dei defunti, in un momento in cui la struttura aveva già perso la sua funzionalità, ma il ricordo della sacralità dell’area doveva essere ancora forte.
Il fatto che lo scavo fin ora effettuato abbia restituito ad oggi 22 corpi tutti ravvicinati, di cui 11 smontati e studiati dall’antropologo confermano che l’area era ed è totalmente occupata dalle sepolture, inoltre da un primo scotico esterno all’ ambiente, emergono nuove e numerose tracce di fosse, a conferma dell’ ampliamento dell’area cimiteriale.
Dall’analisi dei reperti scheletrici, emergono informazioni sorprendenti: tutti gli individui oggetto di studio appartengono ad una popolazione giovane, con molti neonati morti appena dopo la nascita, bambini di 3-5 anni, giovani di 18-20 fino ad un’età adulta compresa tra i 25 e i 30 anni.
Ci sono indistintamente maschi e femmine, i primi con altezze notevoli per l’epoca, di m. 1,80 circa mentre le donne 1,55-1,65.
Sono state evidenziate patologie articolari comuni tra tutti, il che rafforza il probabile rapporto parentelare, con osteopatie, ernie alle vertebre da sforzo, fratture esposte sulle gambe, ossatura e muscolatura molto sfruttata da continue camminate su terreni impervi e scoscesi.
La malnutrizione è attestata ancora dallo studio dei reperti dentari, da cui si evince una alimentazione povera di proteine e vitamine, basata su farinacei tritati grossolanamente che portano a forme anemiche riscontrabili sulle ossa.
Le analisi provocano un certo sgomento in chi scrive, se si raffrontano con i corredi funebri che accompagnano alcune sepolture: ricordiamo a tal proposito una collana in piccoli pendagli tutti uguali a forma di ghianda, decorata con doppia fila di perlinatura del diametro di cm. 0,5 circa in bronzo dorato. All’interno del foro per la sospensione, sono stati isolati frammenti microscopici di fili ossidati a contatto col metallo, oggi inviati in laboratorio per capire l’origine animale o vegetale.
Altri ornamenti in forma di cerchielli in bronzo e ferro di piccole dimensioni dai 0,4 cm. ai 0,9 cm di diametro che in qualche caso hanno conservato fili attorcigliati lungo il perimetro, quasi ad ipotizzare l’alloggiamento su abiti o cinture.
Inoltre sono state rinvenute fibie di cinture in bronzo, di forma circolare, deposte sempre in coppia sul singolo scheletro ed annesse lastrine in bronzo dorato in alcuni casi forate, in altre incise con fiori stilizzati.
La tradizione di porre il corredo in bronzo entro sepolture risalenti all’alto medioevo, desta stupore, e fa riflettere sulla possibilità che si tratti o di comunità di origine non locale, ma forse con antenati della sponda opposta al mar Adriatico (visto la vicinanza via mare), o che si siano celebrati dalla comunità in modo esemplare con un ricco corredo, vista la loro precoce scomparsa.
Dott. Lisciarelli Andrea
Dott.ssa Suadoni Tania