di Giacomo Cirsone
Nell’ambito dei lavori di restauro e consolidamento statico eseguiti nella Chiesa Madre di Laurenzana (PZ), dedicata a Santa Maria Assunta, sono state eseguite anche delle indagini di scavo archeologico, le quali hanno apportato nuovi elementi per la conoscenza della storia di questo edificio di culto; i risultati di tali indagini saranno oggetto della presente relazione.
I lavori, volti a determinare l’origine di alcuni dissesti murari, hanno interessato la parte S della navata sinistra, tra il muro di delimitazione W della chiesa e i pilastri delle prime tre campate. La rimozione della pavimentazione moderna e del relativo massetto di preparazione, ha permesso di riportare alla luce una serie di ambienti voltati a botte con orientamento diverso della generatrice, dei quali due non interessati dallo scavo [Fig. 1].
Figura 1. Schizzo dell’area oggetto degli scavi. I numeri entro circoli da 1 a 6 indicano la numerazione degli ambienti, con la corrispondenza per i pozzi d’inumazione (schizzo realizzato dall’Architetto L. D. Rossi; elaborazione grafica Dott. G. Cirsone).
Sin dai primi giorni di scavo, questi ambienti si sono rivelati essere veri e propri pozzi per l’inumazione, per la enorme quantità di ossa umane restituite dallo scavo, progressivamente accumulate entro sacchi di tela nella navata centrale della chiesa; l’uso di seppellire entro le chiese è una pratica molto antica, attestata sin dal IV secolo d. C., in contesti d’età paleocristiana, ed in seguito affermatosi come uso prevalente nell’Altomedioevo, e perdurato in alcuni casi fino alle soglie del XX secolo.
Le prime notizie documentarie sull’esistenza della chiesa, risalgono alla prima metà del XIII secolo, in età sveva, quando è attestata la chiesa con il titolo di Sancta Maria de Plataeis; i lavori di costruzione della chiesa iniziarono nel 1214 e terminarono nel 1222; la differenza nell’apparato murario, e la presenza di una finestra monofora tamponata d’ispirazione gotica, hanno indotto a ipotizzare la presenza di una torre d’età normanna, le cui strutture sarebbero poi state inglobate nella chiesa.
Un primo ampliamento dell’edificio sembra essere attestato alla fine del XVI secolo, nel 1583, in concomitanza con lo sviluppo demografico ed urbano di Laurenzana; una conferma indiretta dell’accresciuta importanza della costruzione è data dalle notizie in merito agli altari, menzionati nel resoconto della visita pastorale dell’Arcivescovo Lanfranchi nel 1672.
I maggiori interventi di rifacimento si hanno però nel corso del XVIII secolo, con la costruzione del campanile (1707), e la sistemazione dell’area absidale (1719), ai quali seguono la riconsacrazione e l’apertura al culto nel 1723, con il titolo di Santa Maria Assunta e la dedicazione a S. Filippo Neri; testimonianza indiretta dei lavori dei primi decenni del ‘700 è ancora una volta il resoconto di una visita pastorale, quella dell’Arcivescovo Positano del 1726; nel 1757 viene completata la scalinata antistante l’ingresso della chiesa, alla quale si accedeva tramite tre porte nella facciata principale. Nel 1759, in occasione della visita pastorale dell’Arcivescovo Filangieri, viene redatto anche un “Catalogo delle notizie generali circa lo stato materiale e formale della Parrocchial Chiesa”, che fornisce utili informazioni circa le misure (in gomiti) di alcune parti dell’edificio, oltre ad informazioni riguardanti il numero di porte e finestre, le decorazioni, gli arredi sacri e gli altari; nel documento sono menzionate anche una serie di dodici sepolture localizzate presso l’altare maggiore. Nel 1780 vengono realizzati il portale maggiore sormontato da un timpano curvilineo spezzato, ed il grande Cappellone del SS. Sacramento, edificato in prossimità dell’ingresso all’estremità meridionale della navata laterale destra.
Contestuale agli ampliamenti è anche l’uso funerario, motivo di una perizia tecnica della prima metà del XIX secolo (1837); altre tre perizie, del 1847, 1851 e 1855, ci informano sullo stato fatiscente dei tetti e dei pavimenti dell’edificio, bisognosi di restauri. I danni si aggravano con il terremoto della notte tra 16 e 17 dicembre 1857, non rilevabili però da un’altra perizia del 1859.
Dopo il sisma del 1980, la chiesa è stata restaurata e riaperta al culto nel 1997; attualmente sono in corso nuovi lavori di restauro e consolidamento statico.
Gli ambienti
Gli ambienti individuati (1-6) sono tutti approssimativamente di forma quadrangolare, con i muri costruiti in una tecnica muraria molto grossolana, che rivela la presenza di maestranze autoctone, con filari molto irregolari di pietre allettate con malta di legante o terra, di scarsa qualità; si potrebbe supporre che l’ambiente tecnico che concepì le murature in oggetto, fosse lo stesso che approntava nelle campagne ricoveri e casette rurali, costruzioni nelle quali si riscontra l’impiego della medesima tecnica costruttiva.
È comunque possibile stabilire, sulla base dei rapporti stratigrafici tra le strutture murarie, una cronologia relativa delle stesse, la quale, integrata con i dati desunti dai reperti potrà fornire una base per la cronologia assoluta dell’edificio.
Ad un primo esame si individuano due nuclei costruttivi nettamente distinti, che separano in due parti l’area di scavo: l’area a N comprende gli ambienti 1, 2 e i due ambienti non scavati 7 e 8, mentre nell’area a S si trovano gli ambienti dal 3 al 6; questa prima distinzione topografica potrebbe essere il frutto di una diversa scansione cronologica, come si vedrà in seguito.
Gli ambienti 1 e 2 sono interessati dalla presenza di una poderosa muratura in filari irregolari di pietre, legati da malta di scarsa qualità, la quale in base alla lettura dei rapporti stratigrafici sembra essere precedente alle altre strutture murarie dei due ambienti; nell’ambiente 2, il paramento W della struttura è rivestito da un intonaco di calce di scarsa qualità (USR 72), al quale si appoggia un secondo muro, USM 3, di spessore inferiore a quello di USM 2 [Fig. 2].
Figura 2. Ambiente 1, USM 2, paramento W (foto Giacomo Cirsone).
Nell’ambiente 1, all’USM 2, si appoggiano due strutture murarie che costituiscono i lati N e S dell’ambiente. La prima struttura, USM 28, è anch’essa una muratura di notevole spessore (circa 1.08 m), sicuramente con un ruolo portante per la statica di questo settore della chiesa; essa presenta un orientamento E-W, con una tecnica muraria caratterizzata dalla presenza di filari irregolari di conci lapidei e di arenaria legati da malta e terra; la presenza di un legante di scarsa qualità non è tale da pregiudicare però il sostegno offerto all’innesto di una volta a parabola, di cui restano le tracce sulla cresta della struttura; si lega alla vicina USM 4, nell’ambiente 2, e come per quest’ultima, non è possibile determinare il rapporto intercorrente con il muro perimetrale della chiesa (USM 32), a causa del mancato scavo degli ambienti 7 ed 8, e quindi anche una cronologia relativa [Fig. 3].
Figura 3. Paramento S dell’USM 28, sul lato N dell’ambiente 1 (foto G. Cirsone).
Il lato S dell’ambiente è costituito dall’USM 10, una struttura muraria di orientamento E-W, la quale si appoggia sia all’USM 2 che all’USM 32, ed è quindi successiva ad esse; posteriori ad essa ed al muro perimetrale sono le strutture murarie dell’ambiente 7 (in particolare la volta a parabola in pietre e malta USM 13), e l’innesto di una volta parabolica (USM 27); il muro, dello spessore di circa 1 metro, è interessato dalla presenza di due aperture ad arco ribassato (USM 73, 74), le quali sembrano identificare l’USM 10 come un prospetto d’ingresso; anche la tecnica muraria risulta essere più raffinata, essendo caratterizzata dalla presenza di conci lapidei squadrati e malta di legante; solo il paramento N è visibile dall’ambiente 1, mentre buona parte del paramento S è visibile negli ambienti 3 e 4 [Figg. 4a-b].
a. b.
Figura 4. Ambiente 1: a. paramento N dell’USM 10; b. paramento N con l’USM 10, l’arco a sesto ribassato USM 73, l’innesto della volta USM 27, e il muro di tamponamento USM 33 dell’arco (foto Giacomo Cirsone).
Il lato W dell’ambiente 1 è costituito dall’USM 23, una muratura in filari irregolari di pietre e conci squadrati di arenaria, legati da malta mista a terra, di orientamento N-S; si tratta di una struttura muraria costruita per separare l’ambiente 1 dall’ambiente 7, e probabilmente per sostenere la volta a parabola USM 9; da ciò sembra dedursi la posteriorità di questa struttura rispetto alle murature della volta e di queste rispetto alle murature di tamponamento degli archi [Fig. 5].
Figura 5. Ambiente 1, USM 23, 27, 28, paramento W (foto Giacomo Cirsone).
Le murature appena descritte sono perfettamente fondate sul banco roccioso naturale (US 97), costituito dalla medesima arenaria che si trova sulla rupe del castello e che è stata utilizzata come materiale da costruzione anche nelle murature della chiesa stessa. Il banco roccioso è tagliato da due fosse antropoidi, da interpretare come tombe pertinenti probabilmente alla prima fase di utilizzazione del sito, precedente all’impianto stesso della chiesa; a livello di ipotesi, sulla base di confronti, si potrebbe proporre una datazione all’Altomedioevo [Figg. 6-7].
Figura 6. Ambiente 1, pianta della situazione finale al termine dello scavo; si notano i tagli nel banco roccioso naturale US 97, ed in particolare le due fosse antropoidi US -103, -104, parzialmente obliterate dall’USM 23; si notino anche la fossa di fondazione dell’USM 10 (US -98), il taglio di orientamento E-W (US -100), e la fossetta/pozzetto (US -116), anch’essa parzialmente obliterata dall’USM 23 (disegno Giacomo Cirsone).
Figura 7. Ambiente 1, tagli sul banco di arenaria naturale: si notano al centro dell’immagine le due fosse antropoidi e la fossetta/pozzetto parzialmente obliterati dall’USM 23; a destra dell’asta metrica si trova l’US -103, e a sinistra l’US -104 (foto Giacomo Cirsone).
L’ambiente 2, come già accennato, è anch’esso interessato dalla presenza dell’USM 2, sulla cui fondazione (USM 89), è stata impiantata la fondazione USM 54 relativa all’USM 3; quest’ultimo muro oblitera il rivestimento in intonaco di calce che si trova sul paramento W dell’USM 2; è possibile che l’USM 3 possa aver avuto la funzione di rinforzare in qualche modo l’ambiente, offrendo un sostegno alla volta di generatrice E-W, di cui si vedono le tracce sulla cresta dell’USM 25. L’USM 3 è in ogni caso posteriore, oltre che al muro 2, anche alle strutture murarie che costituiscono i lati N e S dell’ambiente.
Sul lato N si trovano una serie di strutture che presentano rapporti stratigrafici complessi; l’USM 5 è un muro di cui è visibile solo il paramento S, ed è costituito da pietre e legante di malta e terra; ad esso si appoggia, con un rapporto di posteriorità, l’USM 56, una sorta di piattabanda molto irregolare al di sotto della quale si apre una porta/finestra (US -55); in un secondo tempo questa apertura viene tamponata da un muro (USM 76). Si tratta dunque di strutture murarie con un rapporto di posteriorità rispetto alle USM 2 e 3, ma di anteriorità rispetto all’USM 8 (che costituisce il lato W dell’ambiente 2), la quale ultima si appoggia alle USM 56 e 76 [Fig. 8].
Figura 8. Ambiente 2, US -55, USM 5, 56, 76, paramento S (foto ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
Il lato S dell’ambiente 2 è costituito da una poderosa struttura muraria, l’USM 4, la quale si lega alla corrispondente struttura dell’ambiente 1 (USM 28); si tratta di una muratura in pietre e malta di legante, atta a sostenere l’innesto di una volta a parabola in muratura di cui restano le tracce nella curvatura del paramento murario.
Sul lato W infine si trova l’USM 8, una muratura in pietre e ciottoli di dimensioni medio-grandi, conci di arenaria e malta di legante, eretta per sostenere il peso della volta parabolica USM 25 e al tempo stesso per separare l’ambiente 2 dall’ambiente 8, che in origine dovevano far parte di un vano unico.
Anche nell’ambiente 2 è stato raggiunto il livello del banco di arenaria, ed anche in questo caso sono stati individuati dei tagli pertinenti molto probabilmente al momento della costruzione dell’edificio; i tagli sono quindi da interpretare come fosse di fondazione, essendo per lo più localizzati lungo le murature stesse [Fig. 9].
Figura 9. Ambiente 2, pianta della situazione finale al termine dello scavo; si notano i tagli nel banco roccioso naturale US 91, realizzati al momento della costruzione dell’edificio (disegno Giacomo Cirsone).
A S dell’USM 10, si sviluppa il secondo nucleo di ambienti, posteriore al primo sulla base dei rapporti stratigrafici tra le murature. I dati riguardanti l’ambiente 3 sono ancora parziali e provvisori, data la sospensione dello scavo, ma si cercherà comunque di fornire notizia sui dati sin qui emersi. Nell’ambiente 3, è ben visibile una parte del paramento S dell’USM 10, con l’arco a sesto ribassato (USM 74), tamponato dal muro USM 57 [Figg.10, 11a-b].
Figura 10. Schizzo del lato N dell’ambiente 3: si notano l’USM 10, nella quale si aprono i due archi USM 73 e 74 (quest’ultimo visibile solo in parte), e i due muri di tamponamento USM 33 e 57; all’estremità W del disegno si nota l’Unità Stratigrafica di Dissesto -141, originata dalla spinta esercitata dai materiali di riempimento del retrostante ambiente 7 sull’USM 57 (schizzo Giacomo Cirsone).
Figura 11. Ambiente 3, USM 10, 33, 57, paramento S (foto Giacomo Cirsone).
I due muri di tamponamento USM 33 e 57 sono realizzati in una tecnica muraria semplice ma paragonabile a quella dell’USM 10, essendo caratterizzata dalla presenza di pietre legate da malta.
Il lato W dell’ambiente è costituito dall’USM 58, una muratura in filari irregolari di pietre e malta, la quale si appoggia all’USM 10, ed anche al muro perimetrale della chiesa USM 32 ed è quindi posteriore ad entrambe; la presenza all’estremità S del muro di una lesione muraria (US -59) sembra suggerire l’anteriorità di questa struttura non solo rispetto al semipilastro USM 60, con cui doveva sussistere un rapporto di appoggio, ma anche con le strutture murarie che separano i quattro ambienti di questo secondo nucleo, le quali, come si vedrà, sono legate ed in fase. Il paramento E dell’USM 58 presenta i resti ancora consistenti di un rivestimento in intonaco di calce (USR 149); è probabile che anche le altre pareti fossero rivestite in maniera simile, forse per rendere in qualche modo impermeabile il vano dopo la sua destinazione funeraria; si spiegherebbero così anche le ottimali condizioni di conservazione di alcune deposizioni.
Sui lati S ed E dell’ambiente 3 troviamo rispettivamente i muri USM 49 e 69, entrambi legati e quindi “in fase”, e caratterizzati da filari irregolari di pietre squadrate e malta; nell’USM 69 sono presenti “buche pontaie” per l’alloggiamento di travi lignee delle quali sono stati rinvenuti numerosi frammenti ancora in situ ed in buono stato di conservazione, insieme ad altri in stato di crollo. L’estremità W dell’USM 49 termina con un semipilastro aggettante dal filo del muro di forma rettangolare (USM 60), funzionale al sostegno della soprastante base dell’altare del Beato Egidio da Laurenzana (USM 15). Anche l’USM 69 presenta i resti dell’innesto di una volta a parabola di generatrice N-S, a differenza di quelle ancora visibili negli ambienti non scavati 7 e 8 e di quelle in stato di rudere degli ambienti 1 e 2, che invece hanno generatrice E-W; i resti della volta sono stati rinvenuti in corso di scavo tra i materiali di riempimento, ed è ipotizzabile che la distruzione di questa struttura sia da collocare durante i lavori di restauro negli anni ’80 e ’90 del XX secolo [Fig. 12].
Figura 12. Ambienti 3 e 6, al momento della sospensione dello scavo: nell’ambiente 3 si notano l’USM 10 con le due murature di tamponamento 33 e 57; a queste si appoggiano l’USM 58, e l’USM 69 (quest’ultima si lega all’USM 49); si noti anche il semipilastro in muratura 60, all’angolo SW dell’ambiente 3; sul paramento E dell’USM 58 è invece visibile il rivestimento in intonaco di calce USR 149 (disegno Giacomo Cirsone).
La sospensione dello scavo non permette al momento di stimare l’entità dell’ulteriore stratigrafia, né di fornire indicazioni sulle fondazioni o su eventuali tagli presenti nel banco roccioso, ipotizzabili per analogia con gli altri ambienti.
L’attiguo ambiente 4 è l’unico ad avere una pianta più complessa, presentando sul lato E una sorta di “nicchia” rettangolare; si tratta dell’unico ambiente che abbia conservato la volta originaria in pietre squadrate e malta di buona qualità (USM 105), purtroppo in seguito demolita in corso d’opera per motivi di sicurezza; questa struttura, di generatrice N-S, così come l’altro frammento di volta USM 11, presentava due aperture, interpretabili come “pozzetti”, probabilmente utilizzati per calarvi all’interno le deposizioni (rispettivamente US -11 e -43); la volta, che rivela una buona padronanza nell’arte del costruire da parte delle maestranze, era strettamente legata alle USM 67 e 69, avendo quindi con queste ultime una relazione di contemporaneità; all’interno dell’ambiente è stato possibile osservare un particolare costruttivo molto interessante: la presenza nell’intradosso dei resti della centina lignea utilizzata per la posa in opera della struttura, della quale rimangono tracce sia “in negativo” nella malta, sia “in positivo” con resti e frammenti di legno inglobati nel legante [Fig. 13].
Figura 13. Ambiente 4, USM 105, particolare della “nicchia” rettangolare: si notano i resti della centina lignea utilizzata per la posa in opera della volta; nella parte bassa della fotografia, una trave di legno ancora in situ (foto Giacomo Cirsone).
Le due murature di sostegno della volta sono le USM 67 e 69, rispettivamente costituenti i lati E ed W dell’ambiente 4; l’USM 67 è una muratura di orientamento N-S realizzata in pietre e malta di legante, della quale è visibile solo il paramento W all’interno della “nicchia”, con buona parte della curva della volta 105; la prosecuzione dello scavo fino al livello della roccia, ha permesso di verificare la posteriorità del muro rispetto all’USM 2, con un rapporto di appoggio. Gran parte del lato E dell’ambiente è interessato dalla presenza di una muratura in filari irregolari di pietre e malta (USM 66), la cui costruzione può essere stata motivata dalla necessità di offrire un sostegno alla volta; a questo proposito è utile notare che durante lo scavo è stato rinvenuto un crollo strutturato (US 124), costituito da pietre e lacerti di muratura ancora legati da malta, misti ad ossa e frammenti di legno (US 124), che suggeriscono un crollo della copertura dell’ambiente ed un conseguente rifacimento o restauro [Fig. 14].
Figura 14. Ambiente 4, crollo strutturato US 124, costituito da pietre e conci squadrati, lacerti di muratura ancora legati da malta e frammenti di carpenteria lignea (foto Giacomo Cirsone).
È probabile che anche l’USM 66 sia stata eretta per sostenere già in antico la volta, seguendone perfettamente il profilo, forse al fine di evitare crolli rovinosi come quello rappresentato dall’US 124. Si deve inoltre osservare che la fondazione dell’USM 66 differisce da quelle delle murature circostanti, essendo costituita da malta di ottima qualità che lega insieme pietre, ciottoli di fiume, blocchi sbozzati in pietra calcarea di dimensioni medio grandi e frammenti di laterizi, la quale si appoggia poi sul banco di arenaria; le altre fondazioni invece poggiano direttamente sulla roccia, non presentando differenze sostanziali tra il paramento “a vista”, e la parte interrata e quindi non visibile.
Il lato W dell’ambiente è interessato, come accennato, dalla presenza dell’USM 69, che sul paramento E presenta un rivestimento in intonaco di calce (USR 147); all’estremità N, questa muratura oblitera un lacerto di intonaco parietale ancora in situ (USR 75), pertinente all’USM 10, e ciò fortunatamente ne ha permesso la conservazione [Fig. 15].
Figura 15. Particolare dell’estremità N dell’USM 69, tra gli ambienti 3 (a sinistra) e 4 (a destra): il muro oblitera un lacerto di intonaco parietale in situ (USR 75), pertinente all’USM 10 (foto Giacomo Cirsone).
Il lato N è interessato dalla presenza dell’USM 10, che mostra una parte del paramento S, insieme ad una parte della struttura ad arco USM 74 ed al muro di tamponamento 33; ad E di USM 10, si nota la testata dell’USM 2, che in questo punto descrive un angolo retto di 90°, girando verso E in direzione della navata centrale della chiesa; questo particolare sembra slegare l’USM 2 dalle altre strutture finora esaminate, proponendone la pertinenza ad un nucleo costruttivo preesistente, ipoteticamente da ricercare al di sotto della pavimentazione della navata centrale dell’edificio di culto. La fondazione dell’USM 2 in questo ambiente (USM 142), è costituita da pietre allineate in filari ed allettate con malta direttamente sul banco di arenaria [Fig. 16].
Figura 16. Ambiente 4, USM 2 e 142, paramento S: si notino la testata del muro 2 che si dirige verso E, finendo sotto la sezione dello scavo nella navata centrale della chiesa, e la fondazione 142 in pietre, allettate con malta sul banco di arenaria naturale (foto Giacomo Cirsone).
Per quanto riguarda l’USM 10, essa è visibile con il piedritto di sostegno dell’arco 73; è invece ben visibile il paramento S del muro di tamponamento 33, anch’esso fondato sulla roccia; in quest’ultima struttura lo scavo ha evidenziato la presenza di un’arco di scarico, detto anche “sordino”, costruito in questo caso per alleggerire la spinta statica sulla fondazione del muro USM 118 [Fig. 17].
Figura 17. Ambiente 4, USM 10 e 33, paramento S: si nota l’arco di scarico o “sordino”, realizzato nella muratura di tamponamento 33 (foto Giacomo Cirsone).
Il lato S dell’ambiente è interessato dalla presenza dell’USM 62, una muratura di andamento E-W, realizzata con una tecnica in filari irregolari di pietre e malta; ad essa si appoggiano la volta 105 e l’USM 66, ed è contemporanea ed in fase con l’USM 69, alla quale si lega; sebbene l’ossevazione sia ostacolata dal muro 66, è possibile ipotizzare un rapporto di contemporaneità anche con l’USM 67; il paramento N della muratura è rivestito da un’intonacatura di calce povera (USR 145) che doveva servire all’impermeabilizzazione della parete, per analogia con quanto riscontrato per l’ambiente 3 [Fig. 18].
Figura 18. Ambiente 4, US 62, paramento N: si noti il rivestimento in intonaco di calce USR 145, il quale aveva lo scopo di impermeabilizzare la parete; sono visibili anche le “buche pontaie”, funzionali all’alloggiamento di travetti lignei per ponteggi, o all’alloggiamento di travi di sostegno (foto Giacomo Cirsone).
Anche nell’ambiente 4, il banco di arenaria naturale (US 155) risulta tagliato, ed in particolare si rileva un dislivello di circa 0.70-0.80 m, che cresce ancora fino ad 1 m circa nella parte S dell’ambiente, tra il piano sui cui poggiano le fondazioni delle murature del lato N, ed il piano da cui ha inizio la stratificazione antropica; il dislivello è molto probabilmente dovuto allo scavo del banco di arenaria in direzione S, anche in conseguenza della pendenza naturale della roccia, a seguito dei lavori di ampliamento della chiesa che hanno comportato anche la costruzione degli ambienti del secondo nucleo [Figg. 19-20].
Figura 19. Schizzo non in scala raffigurante la situazione degli ambienti 3-6, facenti parte del cosiddetto “secondo nucleo” costruttivo (schizzo Giacomo Cirsone).
Figura 20. Situazione finale dell’ambiente 4: si noti il banco di arenaria naturale US 155, sul quale poggiano a quote diverse, l’USM 142 (fondazione dell’USM 2) e l’USM 154 (fondazione dell’USM 66); sono riportati anche i due strati di rivestimento USR 145 e 147 (disegno Giacomo Cirsone).
Immediatamente a S dell’USM 62, si trova l’ambiente 5, anch’esso dalla pianta quadrangolare; qui lo scavo ha intercettato il banco roccioso a più di 6 m di profondità rispetto al piano di calpestio della chiesa. L’ambiente conservava ancora, all’inizio dello scavo, parte della volta originaria in conglomerato e pietre, costituita dalle USM 16 e 17, nelle quali si aprivano due pozzetti (US -36 e -80), utilizzati per calare nell’ambiente i corpi degli inumati. Anche questa struttura, purtroppo è stata demolita per motivi di sicurezza, insieme con un semipilastro di forma rettangolare in filari regolari alternati di pietre e laterizi (USM 40), sorretto da una mensola in pietra calcarea; questo semipilatro, forse in origine funzionale al sostegno di un altare o più probabilmente di un’acquasantiera, si legava al muro di facciata della chiesa (USM 18), andando a costituire un ulteriore sostegno per la volta che vi si appoggiava. Quest’ultima, prima della demolizione, sembrava avere una generatrice E-W, come quelle degli ambienti 1-2 e 7-8, e a differenza di quelle degli ambienti 3 e 4. È anche possibile pensare al rifacimento parziale o totale della volta in tempi recenti, data la diversità dei materiali utilizzati (conglomerato cementizio e pietre) [Figg. 21-22].
Figura 21. Ambiente 5, fotografia dei resti della volta soprastante il vano: si nota il differente orientamento della generatrice della volta in senso E-W (foto Giacomo Cirsone).
Figura 22. Ambiente 5, disegno raffigurante i resti della volta di generatrice E-W (costituita dalle USM 16 e 17), i pozzetti US -34 e -80; l’USM 17 è parzialmente obliterata dall’US 70; si nota anche la tomba in muratura costruita sull’incrocio delle murature sottostanti, a cavallo degli ambienti 3-6 (disegno Giacomo Cirsone).
Già prima dell’inizio dell’indagine archeologica, l’ambiente 5 aveva subito un parziale svuotamento fino alla profondità di circa 3 m dal pavimento della chiesa, ed erano quindi visibili i paramenti delle murature; il lato E dell’ambiente presenta una situazione in qualche modo analoga a quella riscontrata nell’ambiente 4, con un muro (USM 63), legato all’USM 67 dell’ambiente 4, al quale si appoggia una seconda muratura (USM 19); è probabile che il muro 19 sia stato eretto per sostenere la volta dell’ambiente ma non sembra essere mai entrato in funzione, tanto più se si pensa che non risulta essere fondato sulla roccia, ma su uno degli strati di riempimento dell’ambiente, costituito da terra mista ad ossa [Fig. 23].
Figura 23. Ambiente 5, USM 19, sezione esposta dello strato di terra mista ad ossa su cui poggia la muratura (foto Giacomo Cirsone).
Il lato W dell’ambiente 5 è interessato dalla presenza dell’USM 52, una muratura in pietre e malta di legante; essa si lega alle murature 42, 62 e 69, costituendo un sistema di strutture unitario, che manifesta la propria posteriorità rispetto ai muri di facciata S ed W della chiesa, rispettivamente USM 18 e 32, con un rapporto stratigrafico di appoggio. I lati N e S sono rappresentati dal muro di facciata della chiesa USM 18, e dal già esaminato muro 62 [Fig. 24].
Figura 24. Situazione finale dell’ambiente 5: sono riportate tutte le murature dell’ambiente, il muro di facciata USM 18, i due muri del lato E, USM 63 e 19, l’USM 62 e l’USM 52; è riportata anche la fondazione dell’USM 19, che poggia sul riempimento dell’ambiente. Sono anche segnati i tagli riportati sul banco di arenaria naturale, l’US -114 (taglio per la fossa di fondazione dell’USM 18) e una fossa di scarico (US -112), parzialmente obliterata dall’USM 62 (disegno Giacomo Cirsone).
A più di 6 metri di profondità è stato intercettato il banco roccioso naturale (US 111), sul quale si è riscontrata una forte pendenza da W verso E; lungo l’USM 18 è stato individuato il taglio per la fossa di fondazione del muro di facciata (US -114), che presenta pareti a profilo quasi rettilineo; lungo il lato N invece, l’USM 62 oblitera parzialmente una fossa di scarico dalla forma irregolare, la quale non è stata scavata ma che risultava colmata da un riempimento di terra mista a frammenti di ceramica e ossa (probabilmente animali). Il forte dislivello esistente tra la quota del piano di roccia dell’ambiente 5 e quello dell’ambiente 4 lascia pensare allo scavo del pendio della montagna, probabilmente con un terrazzamento, ed in tal caso la muratura USM 62 si configurerebbe come un muro di contenimento atto ad evitare fenomeni di dissesto idrogeologico.
L’ultimo ambiente interessato dallo scavo è l’ambiente 6, nel quale le indagini archeologiche non sono state completate; l’ambiente si caratterizza per la presenza di una muratura di orientamento NW-SE, l’USM 50, la quale si appoggia ed è quindi posteriore, ai muri 32 e 58 all’estremità NW, e 18 e 52 all’estremità SE [Figg. 25-26].
Figura 25. Schizzo non in scala dell’ambiente 6; diagonalmente all’orientamento dell’ambiente si nota l’USM 50, di orientamento NW-SE, in appoggio alle murature di delimitazione del vano (USM 18, 32, 49, 52); in appoggio al muro 50, sono indicate le US 79 e 126, non scavate a causa della sospensione dello scavo; in alto a destra, il tratteggio a cavallo delle USM 32, 49, 50 e 58, indica la base in muratura dell’altare del Beato Egidio da Laurenzana (schizzo Giacomo Cirsone).
Figura 26. Ambiente 6, USM 50; la visibilità delle strutture e della stratigrafia è limitata dalla presenza del “castelletto” montato dalla squadra di operai, al fine di smaltire i materiali di risulta e i detriti attraverso l’apertura praticata nella facciata (foto Giacomo Cirsone).
I reperti
La documentazione materiale emersa dallo scavo è assai ricca e diversificata, comprendendo numerose classi di materiali (ceramica, vetro, oggetti in bronzo, legno, tessuti, carta, monete, laterizi, ecc.); anche se numericamente esigua, la ceramica risulta essere significativa e riferibile ad un ambito cronologico abbastanza ampio, a partire almeno dal XIII-XIV secolo, fino al XIX; si tratta per lo più di frammenti di dimensioni medio-piccole, in particolare per le fasi più tarde, ma non mancano alcuni manufatti quasi completamente integri; l’associazione ad un contesto funerario sembra essere riferibile ad un’attività connessa con l’utilizzazione stessa del sito, e non invece dovuta alla presenza di corredi tombali.
Si segnalano in particolare, alcune brocche per acqua, rinvenute negli ambienti 1 e 2, in condizioni di conservazione ottimali; quella rinvenuta nell’ambiente 1, presenta solo poche tracce di un rivestimento smaltato di colore bianco; non si è in grado di determinare la forma o il diametro dell’orlo; si possono invece fare osservazioni sul corpo che risulta essere globoso, e sul fondo piatto. Sulla spalla permane l’attacco di un’ansa, probabilmente a nastro, purtroppo non conservatasi. La datazione, in base alla posizione stratigrafica, oscilla tra il XIV ed il XV secolo, anche sulla base del confronto con l’altra brocca dell’ambiente 2, di più facile datazione per la persistenza della vetrina di rivestimento [Fig. 27].
Figura 27. Ambiente 1. Brocca con tracce di rivestimento smaltato di colore bianco, databile al XIV-XV secolo (foto G. Cirsone).
La brocca dell’ambiente 2 invece, presenta un’invetriatura di colore bianco, con un motivo decorativo dipinto in blu cobalto, raffigurante un volto femminile. Anch’essa mancante dell’orlo e dell’ansa, presenta il corpo globoso ed il fondo piatto con profilo arrotondato [Fig. 28].
Figura 28. Ambiente 2. Brocca invetriata e dipinta con rivestimento di colore bianco, e motivo decorativo raffigurante un volto femminile, databile al XIV-XV secolo (foto G. Cirsone).
Ancora dall’ambiente 2, proviene una brocchetta di piccole dimensioni, con orlo trilobato, corpo globoso e piede a disco (frammentato nella parte sinistra), priva dell’ansa; anch’essa con invetriatura di colore bianco e motivo decorativo dipinto in blu, raffigurante motivi a “punta di freccia” disposti a croce ai lati di un motivo centrale recante una “A” corsiva con asta traversa [Fig. 29].
Figura 29. Ambiente 2. Brocchetta invetriata e dipinta con motivo decorativo raffigurante una “A” al centro, e ai lati dei motivi a “punta di freccia”, databile al XIV-XV secolo (foto Giacomo Cirsone).
Per i secoli successivi si segnalano frammenti di maioliche policrome e smaltate d’età rinascimentale, oltre a frammenti ceramici più tardi di XVII-XVIII secolo (principalmente frammenti di piatti in porcellana o con ingobbiatura bianca) [Fig. 30]. Tra i frammenti ceramici d’età rinascimentale se ne segnala uno recante un volto maschile, con barba e capelli lunghi, da interpretare come Cristo o come un Apostolo, ed altri, pertinenti a forme aperte, con un motivo a croce con pomelli ai lati, dipinto sul fondo.
Figura 30. Frammenti di ceramica policroma d’età rinascimentale, con decorazioni in giallo, blu, verde e rosso-bruno, databili al XVI-XVII secolo (foto G. Cirsone).
Di pregio sono anche le lucerne rinvenute nel corso dello scavo; in particolare quella rinvenuta nell’ambiente 4, e la lucerna/portacandela dell’ambiente 3, entrambi con un rivestimento in vetrina, ed in buono stato di conservazione [Fig. 31].
Figura 31. Lucerne in ceramica invetriata di XV-XVI secolo: a sinistra, lucerna dall’US 44, rinvenuta nell’ambiente 4; a destra lucerna/portacandela dall’US 61, dall’ambiente 3, con residui di cera sulle pareti esterne (foto G. Cirsone).
Accanto ai reperti ceramici, si segnalano numerosi frammenti di vetro, caratterizzati dalla presenza sia di pareti di recipienti (per lo più, a quanto è dato osservare, riferibili a forme chiuse, quali bottiglie, o forme aperte come i calici), sia di vetri da finestra [Fig. 32].
Figura 32. Ambiente 5. Frammenti vitrei, sia da finestra che di pareti, provenienti dall’US 71 (foto G. Cirsone).
Si segnala anche un reperto particolare costituito da una lastrina di vetro, di forma quadrangolare, sul retro della quale è applicata una lamina in bronzo di uguali dimensioni; questo manufatto potrebbe essere interpretato come un “portaimmagine sacra”, elemento della devozione popolare, tra le due parti del quale doveva essere inserita l’immagine realizzata su un supporto deperibile (carta o stoffa); il tipo di oggetto farebbe pensare ad un’epoca tarda, probabilmente successiva al Concilio di Trento, che introdusse e regolarizzò le pratiche di devozione popolare anche a livello privato [Fig. 33].
Figura 33. Ambiente 5, US 82. Portaimmaginetta sacra in vetro e bronzo (foto Giacomo Cirsone).
Un enorme quantitativo di reperti è costituito dagli oggetti in bronzo, riferibili soprattutto ad ornamenti personali ed elementi accessori del vestiario; tra gli ornamenti personali si segnalano alcuni crocifissi in bronzo e numerosissime medagliette, alcune delle quali recanti stemmi di confraternite religiose locali. Un elemento però è chiaro: all’interno degli ambienti della Chiesa Madre, in età moderna (forse a partire dal Concilio di Trento [dal 1545 al 1563], e comunque già nei secoli XVI-XVII), si seppellivano individui che facevano parte di confraternite laicali e che portavano con sé nell’ultimo viaggio i segni della congrega alla quale appartenevano; storicamente per l’Italia meridionale il fenomeno delle confraternite ebbe grande impulso a partire dalla fine del ‘600 e soprattutto nel ‘700, con il progressivo venir meno dell’azione sociale degli Ordini Religiosi nel Regno di Napoli, accompagnato all’azione avuta sul territorio dalla Compagnia di Gesù. Tra i motivi decorativi, visibili ad occhio nudo dopo la pulitura delle superfici, si riconoscono:
- l’ostensorio con il SS. Sacramento;
- i simboli della Passio Christi;
- la SS. Trinità;
- la Madonna con Bambino;
- la Sacra Famiglia;
- l’Adorazione dei Magi (?).
Le medagliette potrebbero fornire un qualche termine di datazione con l’iconografia: i temi rappresentati riconducono a confraternite, per cui se esistono confraternite simili o che officiassero il culto dei santi rappresentati sulle medaglie a Laurenzana, sarebbe automatico pensare che lo strato sia contemporaneo o posteriore alla fondazione della confraternita [Fig. 34].
Figura 34. Ambiente 5. Medagliette in bronzo provenienti dall’US 71: si notino le dimensioni e la foggia differenti per ciascun pezzo; i motivi decorativi sono leggibili solo in alcuni casi dopo attenta pulitura delle superfici (foto G. Cirsone).
Tra i crocifissi, se ne segnala uno di pregevole fattura, in bronzo, rinvenuto nell’ambiente 5, danneggiato solo in un punto, sul braccio destro del Cristo. L’oggetto è realizzato in due parti, con la croce saldata in un secondo momento al corpo del Cristo; sulla sommità, in direzione parallella ai bracci orizzontali della croce, ed in corrispondenza con il cartiglio INRI, si trova un foro passante, entro il quale passava il cordino di sospensione, di cui restano tracce; il retro della croce reca dei motivi decorativi stilizzati; per la datazione è possibile pensare al XVII secolo [Fig. 35].
Figura 35. Crocifisso in bronzo rinvenuto durante lo scavo nell’ambiente 5, ipoteticamente databile al XVII secolo (foto G. Cirsone).
Tra gli elementi accessori del vestiario, si segnalano una grandissima quantità di bottoni in bronzo di varia foggia e dimensione [Figg. 36, 37a-d], e gli elementi per cintura, tra cui un notevole numero di fibbie [Fig. 38].
Figura 36. Ambiente 3, US 61, bottoni in bronzo (foto Giacomo Cirsone).
Figura 38. Fibbie in bronzo provenienti dall’US 71, nell’ambiente 5: da sinistra a destra, fibbie di forma complessa con decorazione superficiale, circolari, con ardiglione ad ancora, ovali, rettangolari (foto G. Cirsone).
Tra gli altri oggetti in bronzo si segnalano anellini di varie dimensioni, orecchini e ditali da sarta, oltre ad elementi di chiusura per abiti, e ai rivestimenti in lamina di bronzo delle estremità dei lacci delle calzature [Fig. 39].
Figura 39. Ambiente 4, US 146, small finds: in alto a sinistra sono visibili due ditali da sarta, mentre in alto al centro e a destra dei ganci di chiusura per abiti; nella parte centrale della foto e in basso invece si notino i lacci con le estremità rivestite da una lamina di bronzo; nell’angolo in alto a destra, un pendente di orecchino (foto Giacomo Cirsone).
Compresi tra gli accessori del vestiario, sono anche una serie di collanine e braccialetti, che possono essere divisi in due gruppi; il primo comprende collanine e braccialetti (per lo più frammentari), costituiti da una catenella in bronzo con grani a seconda dei casi in bronzo o in corniola; il secondo gruppo invece comprende anch’esso braccialetti e collanine (queste ultime da interpretare come rosari), che presentano però un filo in materiale deperibile sul quale sono montati grani in legno od osso (paternostri), insieme a grani in pasta vitrea di colore blu cobalto (avemarie) [Fig. 40].
Figura 40. Collanine e braccialetti: a sinistra frammenti di collanine del primo gruppo, con catenella in bronzo e grani in bronzo o corniola; a destra frammenti di rosari pertinenti al secondo gruppo, con filo in fibra vegetale e grani in osso o legno (paternostri), ed in corniola o legno (avemarie) (foto Giacomo Cirsone).
In bronzo sono anche le monete rinvenute nel corso dello scavo, alcune delle quali leggibili solo al momento della pulitura; in particolare sono da segnalare due monete d’età angioina, una delle quali recava leggibile un motivo “a quattro semicerchi”; una prima ricerca su questo particolare, ha rivelato la pertinenza della moneta ad età angioina, in un periodo compreso tra il 1266 ed i primi anni del XIV secolo, tra i regni di Carlo I d’Angiò (1266-1285) e di Carlo II lo Zoppo (1285-1309), dove è attestato su alcuni “carlini” o “saluti” in oro. La seconda moneta recava invece una croce gigliata ed è anch’essa ascrivibile ad età angioina, in particolare a partire dal regno di Carlo II d’Angiò e del suo successore Roberto I il Saggio (1309-1343); si tratta quindi di un gigliato, un nuovo carlino d’argento emesso a Napoli da Carlo II d’Angiò nei primi anni del XIV secolo. Al dritto era rappresentato il sovrano seduto. Al rovescio, al posto dell’Annunciazione c’era una croce ornata con gigli, da cui il nome. La moneta fu imitata da diverse zecche del Levante tra cui quella dei Cavalieri di Rodi. Lo stesso nome a volte indica il fiorino o altre monete che presentano il giglio come tipo [Fig. 41].
Figura 41. Gigliato in bronzo o in “mistura”, d’età angioina, rinvenuto nell’ambiente 2, in associazione con l’US 46 (foto Giacomo Cirsone).
Le altre monete rinvenute nel corso delle indagini di scavo purtroppo risultavano illeggibili ed irrimediabilmente consunte, anche dopo le operazioni di pulitura; sulla base dell’associazione con altri materiali, quali le ceramiche, è possibile collocarle entro un arco cronologico compreso tra il XVI ed il XIX secolo.
I reperti in ferro sono scarsamente rappresentati, limitandosi ad una coppia di chiodi e a due laminette molto consunte [Fig. 42].
Figura 42. Reperti in ferro: coppia di chiodi dall’ambiente 5, US 71; lamine dall’ambiente 4, US 44 (foto Giacomo Cirsone).
In ferro è anche la lama triangolare di una cazzuola con il manico in legno, rinvenuta durante lo scavo nell’ambiente 3; l’oggetto è notevolmente più pesante dell’analogo arnese odierno, e doveva certamente appartenere ad uno degli addetti che svolgevano le operazioni di sepoltura all’interno dell’ambiente, forse dimenticato per errore oppure accidentalmente caduto. Sulla base di alcuni confronti, si potrebbe proporre una datazione al XIX secolo [Fig. 43].
Figura 43. Cazzuola con lama triangolare in ferro e manico in legno, rinvenuta durante lo scavo dell’US 127, nell’ambiente 3 (foto Giacomo Cirsone).
Interessante è il gruppo di reperti connessi con l’arredo architettonico della chiesa; oltre alle epigrafi, spesso tombali, rinvenute fuori contesto, sono da segnalare numerosi frammenti di laterizi di rivestimento, alcuni dei quali smaltati; si tratta per lo più di mattonelle molto probabilmente pavimentali, per le quali, a meno di non eseguire analisi archeometriche sugli impasti, non è possibile fornire una datazione precisa; in base però ai contesti di rinvenimento si può pensare ad un arco cronologico compreso tra il XVI ed il XIX secolo [Fig. 44].
Figura 44. Ambiente 3, US 61, frammenti di mattonelle pavimentali smaltate policrome (foto Giacomo Cirsone).
Piuttosto diffuse, e rinvenute sia in associazione stratigrafica, sia fuori contesto, sono delle mattonelle pavimentali smaltate, con rivestimento di colore celeste, sul quale sono riportati al centro un motivo floreale stilizzato (composto da un punto centrale attorno al quale si collocano quattro calici di fiore), e sui bordi una cornice a motivo geometrico a doppio listello; la decorazione è in bianco. La ripetitività del motivo sui vari frammenti rinvenuti suggerisce la possibilità di composizione delle mattonelle secondo schemi decorativi predefiniti.
Sono venuti alla luce anche numerosi frammenti di intonaci policromi, i quali lasciano pensare che nel corso della sua storia, la chiesa sia stata decorata con pitture parietali realizzate ad affresco, di cui alcuni resti sono ancora oggi visibili all’estremità N della navata sinistra; sfortunatamente nessuno dei frammenti rinvenuti è riconducibile a soggetti figurati, ma solo a decorazioni a fasce o di tipo geometrico; varia è anche la gamma cromatica visibile, con tonalità che vanno dal blu cobalto al celeste, al grigio, dal giallo al bruno, al rosso e all’arancio, ciascuno realizzato utilizzando una serie di pigmenti naturali [Fig. 45].
Figura 45. Ambiente 3, US 61, frammenti di intonaci dipinti (foto Giacomo Cirsone).
Proprio nell’ambiente 3, sono stati rinvenuti in stato di crollo, i frammenti di un’acquasantiera in marmo, purtroppo incrostati di cemento; i frammenti, parzialmente ricomponibili, sono scolpiti a forma di conchiglia nella parte inferiore, separata quest’ultima da un listello, al di sopra del quale sono scolpite profonde scanalature “a punta di lancia”, coronate da un secondo listello frammentario; le nervature e i listelli presentano delle piccole eleganti punzonature che ne articolano la superficie; se ne propone in questa sede una datazione al XVII secolo, in età barocca [Fig. 46].
Figura 46. Ambiente 3, US 30, frammenti lapidei di acquasantiera (foto Giacomo Cirsone).
Altri frammenti architettonici sono stati rinvenuti fuori contesto, e successivamente depositati nell’androne della Chiesa Madre, nei pressi dell’ingresso [Fig. 47].
Figura 47. Elementi lapidei e laterizi, ed elementi architettonici rinvenuti durante le indagini archeologiche, depositati presso l’ingresso della Chiesa Madre (foto Giacomo Cirsone).
A margine di questa classe di materiali si presentano in questa sede due conci lapidei recanti segni di decorazione, individuati nell’ambiente 2, rispettivamente sulle USM 4 e 3; il primo concio presenta un motivo decorativo recante un occhio stilizzato, mentre sul secondo è presente un graffito a croce [Fig. 48].
Figura 48. Conci lapidei con elementi decorativi, rinvenuti in situ nell’ambiente 2: a sinistra concio con motivo decorativo “ad occhi”; a destra concio con croce graffita (foto ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
I reperti di origine organica rappresentano una parte significativa del dato materiale restituito dallo scavo, in particolare modo se si pensa che il rinvenimento di materiali organici in contesti archeologi è altamente improbabile alle nostre latitudini, salvo che non si verifichino particolari condizioni di giacitura, come quelle createsi nel corso dei secoli all’interno degli ambienti ipogei della Chiesa Madre; in particolare, per quanto riguarda l’abbigliamento degli inumati, sono da segnalare i frammenti di tessuto, alcuni dei quali in notevole stato di conservazione, i frammenti di cuoio, le scarpe e le calzature; sotto l’aspetto più prettamente archeologico, invece sono da ricordare i manufatti lignei, ma anche i reperti carpologici e faunistici. Particolarmente interessante è il ritrovamento di reperti cartacei, importanti perché la carta è tra i materiali organici più deperibili in assoluto ed inoltre abbastanza insolita in contesti archeologici.
Degli elementi d’abbigliamento sono da segnalare due indumenti o parti di vestiti, recuperati nel corso delle operazioni di setacciatura della terra di risulta; il primo è un “cappuccio” in stoffa, del quale non è possibile dire il colore originario a causa del prolungato seppellimento; doveva essere pertinente ad una giacca o ad una cappa, forse di un abito religioso ma si rimane a livello di ipotesi, a causa della frammentarietà dei dati.
Il secondo reperto di una certa importanza è un frammento di stoffa, forse parte di uno scialle, lavorato all’uncinetto o al tombolo, anch’esso di colore marrone (ma si può supporre che fosse bianco in origine); quest’ultimo reperto apre una finestra sulle attività di artigianato domestico prettamente femminili, quali il ricamo ed il cucito, che spesso diventavano occasione di un ulteriore cespite economico per la famiglia [Fig. 49].
Figura 49. Frammenti di tessuti rinvenuti durante lo scavo: a sinistra un “cappuccio” in stoffa, e a destra un frammento di uno scialle realizzato all’uncinetto (foto Giacomo Cirsone).
Sono da ricordare anche i numerosi frammenti di tessuto conservatisi con ancora i bottoni attaccati, e quelli che essendo stati a contatto con oggetti metallici, si sono conservati sotto forma di concrezione. Il ritrovamento di indumenti apre spunti di ricerca interessanti per quanto riguarda gli studi sul costume e la moda, e può offrire elementi di valutazione utili per ottenere qualche dato cronologico.
Il seppellimento in condizioni di grande umidità ha permesso la conservazione di scarpe, calzature e frammenti di cuoio, questi ultimi spesso associati a cinture o ad indumenti di altro tipo; le scarpe rinvenute sono in maggioranza di piccole dimensioni, pertinenti quindi a infanti o subadulti; una in particolare però sembrava essere una scarpa “da lavoro”, in quanto presentava chiodini ed un elemento in ferro fissati alla suola; questo particolare fa pensare alla presenza di ciabattini o “scarpari” che servivano la popolazione locale [Fig. 50].
Figura 50. Esempi di scarpe in cuoio: a sinistra scarpa di infante in cuoio con chiodini in ferro sulla suola; a destra scarpa in cuoio in situ, con una sorta di “ferro di cavallo” fissato sul tacco insieme a chiodini in ferro (foto Giacomo Cirsone).
Oltre alle calzature si sono conservati frammenti di cinture in cuoio, in molti casi ancora in connessione con la fibbia in bronzo a cui erano legate, e rinvenuti quindi chiusi come erano al momento del seppellimento [Fig. 51].
Figura 51. Frammenti di cuoio ancora in connessione con le fibbie: in alto a sinistra cintura frammentaria con fibbia in bronzo circolare; a destra cintura frammentaria con fibbia in bronzo ellittica con ardiglione “ad ancora”; in basso a sinistra frammento di cinturino da scarpa con fibbietta rettangolare in bronzo (foto Giacomo Cirsone).
I reperti mobili lignei sono scarsamente rappresentati, ma significativi; sono compresi in questa classe di materiali un totale di cinque reperti. Il primo in esame è un frammento lavorato ad intaglio e rivestito con foglia d’oro; si tratta di un frammento di un mobile in legno, probabilmente impiegato nell’arredo della Chiesa Madre, ed in qualche modo finito in giacitura primaria durante uno dei tanti interventi di rifacimento dell’edificio; il frammento è a sezione triangolare e termina in una piccola voluta; sulla parte posteriore si trova una scanalatura a sezione semicircolare. Su base stilistica si propone una datazione non anteriore al XVII-XVIII secolo [Fig. 52].
Figura 52. Frammento di legno lavorato ad intaglio rivestito di foglia d’oro (foto Giacomo Cirsone).
Il secondo reperto è costituito da un frammento ligneo con incisioni prodotte con la lavorazione al tornio; il frammento, a sezione semicircolare, presenta una serie di scanalature sulla superficie; si propone in via ipotetica, su base stratigrafica, una datazione al XVI-XVII secolo [Fig. 53].
Figura 53. Elemento ligneo lavorato al tornio (foto Giacomo Cirsone).
Dall’ambiente 5 proviene un reperto in legno dalla forma particolare; si tratta di parte di un oggetto di grosse dimensioni di forma presumibilmente circolare, a sezione rettangolare; nella parte convessa si vedono dei fori o incavi a sezione rettangolare, forse destinati all’alloggiamento di raggi; ad un terzo circa della lunghezza del frammento si trova un’estroflessione ricavata nel legno anch’essa di forma semicircolare. Non si è in grado di definire la funzione dell’oggetto, forse parte di una sorta di ruota, o meno probabilmente di una culla [Fig. 54].
Figura 54. Elemento ligneo lavorato: si notano nella parte convessa i fori a sezione rettangolare (foto Giacomo Cirsone).
La presenza di elementi lignei lavorati di un certo pregio estetico potrebbe essere riconducibile alla cosiddetta “Scuola di Laurenzana”, una scuola di maestri intagliatori del legno, che faceva capo al centro della Basilicata ed era attiva in Lucania.
Gli ultimi due reperti lignei sono costituiti da un paletto a sezione circolare, probabilmente un manico di un attrezzo, e da un elemento in legno dalla forma irregolare.
Particolarmente interessante è il ritrovamento di un reperto cosiddetto “carpologico”, ovvero un frutto, conservatosi perfettamente grazie all’alta concentrazione di umidità nel terreno di giacitura; ad un primo esame dovrebbe trattarsi di una pera, ma solo analisi specialistiche più approfondite potranno confermare o meno l’identificazione; l’ideale sarebbe poi verificare la sopravvivenza o meno fino ad oggi della specie vegetale alla quale appartiene, dato che col tempo le specie vegetali che portano poco frutto tendono a scomparire, sia per selezione naturale (quando si tratti di specie selvatiche), sia per l’azione dell’uomo (per le varietà coltivate). Sarebbe poi oltremodo interessante poter eseguire analisi al radiocarbonio C14, per ottenere una datazione [Fig. 55].
Figura 55. Reperto carpologico (foto Giacomo Cirsone).
Oltre ai materiali sin qui esposti, sono stati individuati anche alcuni reperti faunistici, nello specifico ossa pertinenti sia a microfauna (topo), sia ad animali di dimensioni più grosse, quali cani o cavalli. La presenza di roditori si spiega facilmente se si pensa alla grande fonte di cibo rappresentata dai cadaveri deposti all’interno degli ambienti; più complicato risulta spiegare la presenza di ossa di cavallo e di cane (rispettivamente un osso lungo ed una mandibola frammentaria), che vanno considerati come intrusi [Fig. 56].
Figura 56. Reperti faunistici: in alto a sinistra mandibola frammentaria di cane; in alto a destra osso lungo di equino (cavallo?, asino?); in basso cranio e frammento di mandibola di roditore (topo?) (foto Giacomo Cirsone).
Si segnala il rinvenimento all’interno delle casse di resti di insetti saprofagi, della specie Necrophorus (ordine Coleoptera), specializzati nella triturazione e nello sminuzzamento di resti organici in decomposizione.
In ultimo vengono qui presi in esame i reperti cartacei, rari nei contesti archeologici; uno di questi in particolare si è rivelato estremamente importante in quanto ha consentito di ricercare un termine cronologico certo per la datazione delle ultime fasi di utilizzo degli ambienti.
Il reperto in questione è un documento frammentario, recante il nome, mutilo dell’inizio, di [Ferdina]ndo IV, con il titolo di Re delle Due Sicilie; si tratta di un documento ufficiale, emesso probabilmente da un ufficio pubblico del Regno; ma il numero di successione del re e la sua titolatura non si accordano tra loro e ciò ha creato qualche problema sulla datazione; infatti compiendo ricerche incrociate si rileva che Ferdinando IV di Borbone, fu re di Napoli e di Sicilia per un periodo lunghissimo dal 1759 al 1799, quando fu costretto alla fuga a Palermo dalla proclamazione della Repubblica Partenopea; rientrato a Napoli, vi rimase fino al 1806, quando fu di nuovo costretto a fuggire a Palermo dall’arrivo delle truppe di Napoleone, il quale affidò il Regno prima al fratello Giuseppe e poi a Gioacchino Murat. Rientrato a Napoli nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, l’anno successivo unificò le due partes del Regno, cambiando il proprio titolo in Re del Regno delle Due Sicilie. Il documento purtroppo non sembra riportare una data a causa dello stato di conservazione; è scritto in italiano del ‘700, abbastanza comprensibile, e con la particolarità grafica della ſ (s) minuscola alta, in uso nei caratteri a stampa del periodo; sul documento compare il termine ‘Paternò’, toponimo del paese in provincia di Catania (è da escludere che si tratti di un’invocazione religiosa, in particolare l’invocazione del “Pater Noster”, la preghiera del Padre Nostro; inoltre il documento sembra avere carattere civile e non religioso): è possibile forse che si tratti di un personaggio menzionato nel documento, del quale però non è noto il nome, ad esempio “[conte sive principe sive duca sive barone di] Paternò”, forse il magistrato che aveva emesso il documento a nome di Ferdinando IV; la presenza nella titolatura del re della corona di Sicilia (o meglio “Sicilie”), farebbe pensare alla terza parte del regno di Ferdinando, anche se il seppellimento nelle chiese dovrebbe aver risentito dell’arrivo della legislazione francese (Editto di Saint-Cloud, 1804).
Facendo qualche ricerca su Internet, strumento quanto mai prezioso ma da usare con cautela per indagini di questo tipo, si è recuperata la titolatura riportata sulla “Legge Fondamentale del Regno delle Due Sicilie”, datata 08/12/1816, nella quale si legge: “Ferdinando I per la Grazia di Dio Re del Regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme, ecc., Infante di Spagna, Duca di Parma, Piacenza, Castro, ecc., ecc., Gran Principe Ereditario di Toscana, ecc., ecc., ecc., ecc.” (Collezione delle Leggi e Decreti Reali, Anno 1816, n. 76, n. 565: “Cancelleria Generale del Regno”); si tratta dei medesimi titoli presenti sul documento, il quale reca anche un emblema araldico, identificabile come lo stemma ufficiale del Regno.
La titolatura di Re delle Due Sicilie compare negli atti ufficiali del Regno a partire dall’08/12/1816, a seguito della citata “Legge Fondamentale del Regno delle Due Sicilie”, promulgata in attuazione e ratifica delle disposizioni del Congresso di Vienna; a partire da quella data Ferdinando è noto come Ferdinando I delle Due Sicilie, e non più come Ferdinando IV. È quindi possibile datare il documento tra l’08/12/1816 (data in cui è attestato per la prima volta il titolo di “Re del Regno delle Due Sicilie”), ed il 22/12/1816, data in cui viene invece promulgata la “Legge Istitutiva del Regno delle Due Sicilie” [Fig. 57].
Figura 57. Frammento di documento cartaceo recante nell’intestazione il nome di Ferdinando IV di Borbone, col titolo di Re del Regno delle Due Sicilie, databile al 1816 (foto Giacomo Cirsone).
Si deve però osservare che il titolo di Rex Utriusque Siciliae fu portato da Alfonso I d’Aragona già nel 1443, e fu poi ripreso dai Borboni nel 1734, sotto Carlo VII di Borbone, re di Napoli e di Sicilia (1734-1759), e poi re di Spagna (1759-1788); i dati fin qui esposti consentono un’operazione di cross-dating (datazione incrociata), derivandone una datazione “larga” del documento, compresa tra il 1734 ed il 1816, con la possibilità che Ferdinando IV abbia mantenuto una titolatura più onorifica che ufficiale, riportandola sui documenti pubblici; a questa si contrappone la datazione “stretta” al dicembre 1816, con la possibilità invece di una sorta di “confusione” o di “ritardo” degli uffici pubblici o delle cancellerie statali, che avrebbero così aggiornato il titolo di Re delle Due Sicilie, ma non ancora il ‘numero’ del sovrano. È anche possibile pensare che “al di qua del Faro”, nella parte continentale del Regno, si continuasse ad usare il vecchio “numero” (IV), piuttosto che il nuovo (I). Sul documento sono indicate una serie di località della Basilicata e della Campania, tra le quali: Portici, Somma, Caserta per la Campania; Calvello, Contemarsico (?), Tremolito (?), Per[ticara], Lagonegro (?) per la Basilicata; se ne deduce che il possessore del documento doveva avere un qualche privilegio, diritto o concessione nei territori menzionati nell’atto.
Il secondo reperto cartaceo è costituito da un frammento di lettera privata, sulla quale è leggibile solo la data “… li 6 …”; anche in questo caso si tratta di italiano del XVII-XVIII secolo; la scrittura per quel che è dato osservare è in corsivo con il ductus verso destra, ed è scritta in inchiostro nero; un indagine con raggi infrarossi, potrebbe rivelare l’”ombra” di altre eventuali righe di testo non più visibili ad occhio nudo [Fig. 58].
Figura 58. Frammento di lettera privata sul quale è leggibile solo la data “… li 6 …” (foto Giacomo Cirsone).
Il terzo reperto cartaceo è stato rinvenuto all’interno di un borsellino di stoffa dotato di una cinghia; si tratta di un semplice frammento di carta, ripiegato già in antico, sul quale non è leggibile più nulla ad occhio nudo, e pertanto sarebbe auspicabile anche in questo caso un’analisi ai raggi infrarossi per cercare eventuali righe di scrittura [Fig. 59].
Figura 59. Frammento di carta rinvenuto ripiegato all’interno del borsellino in stoffa che si trova nella parte sinistra della foto; in basso la cinghia in stoffa pertinente al borsellino (foto Giacomo Cirsone).
Le deposizioni
L’utilizzazione funeraria degli ambienti è un dato acquisito sin dai primi giorni di scavo; in via preliminare si rileva che la maggiore concentrazione di deposizioni, tutte collocate all’interno di casse lignee, si ha nell’ambiente 3, dal quale provengono alcune deposizioni in stato di conservazione ottimale dovuto ad un processo di mummificazione naturale.
In particolare in questa sede verranno qui presentate due sepolture entro cassa lignea rinvenute in stato di mummificazione naturale, dovuto alle condizioni di estrema umidità dell’ambiente. La prima è l’USD 108, una deposizione adulta femminile (?) perfettamente conservatasi in stato di mummificazione, entro cassa lignea; la deposizione ha un orientamento N-S con il viso rivolto a S, e presenta una veste leggera lunga fino all’altezza delle cosce, scarpe in cuoio ai piedi ed un cuscino imbottito di paglia sotto il capo; le gambe si incrociano in maniera innaturale e le braccia sono piegate sul ventre a tenere stretto un rettangolo di stoffa colorata dal quale fuoriesce un listello di legno piatto e sottile (30*3*0.02 cm) [Fig. 60].
Figura 60. Ambiente 3, USD 108: deposizione femminile adulta rinvenuta in stato di mummificazione naturale in giacitura primaria (foto Giacomo Cirsone).
La seconda deposizione è l’USD 120, ancora una deposizione subadulta femminile entro cassa lignea; la deposizione ha orientamento N-S con il cranio rivolto verso S, e presenta un ottimo stato di conservazione dovuto a mummificazione: il corpo è vestito con una veste di colore chiaro non definibile, lunga fino alle caviglie, mentre sulle spalle e attorno al torace si nota una giacchetta di colore rosso scuro che cinge anche le braccia con maniche ‘a tre quarti’; la parte superiore del corpo è coperta da una camicia bianca con maniche merlettate e chiusa sul torace da bottoni; il capo è avvolto da una cuffia di colore chiaro; il capo è girato verso destra e le braccia sono incrociate sulla zona addominale; ai piedi si notano le scarpe in cuoio con suole provviste di chiodini in ferro; sotto il capo doveva esserci un cuscino di cui resta solo l’imbottitura in paglia [Fig. 61].
Figura 61. Ambiente 3, USD 120: deposizione subadulta femminile rinvenuta in stato di mummificazione naturale in giacitura primaria (foto Giacomo Cirsone).
Entrambe queste deposizioni possono essere datate, su base stratigrafica, tra la fine del XVIII ed il XIX secolo.
In giacitura secondaria nello stesso ambiente è stato rinvenuto un cadavere parzialmente mummificato, del quale però si erano conservati solo il torace e parte del bacino, perché avvolti dai vestiti.
Due fosse furono realizzate in epoca tarda sfruttando i riempimenti degli estradossi delle volte degli ambienti 1 e 2; si tratta delle tombe 1 e 2, due sepolture terragne rinvenute durante i primi giorni di scavo già parzialmente sconvolte; è stato comunque possibile osservare la pertinenza ad individui adulti [Fig. 62].
Figura 62. Tombe terragne con deposizioni adulte tagliate nei riempimenti degli estradossi delle volte, indicati in rosso (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
Un’altra tomba, purtroppo sconvolta e svuotata prima dell’inizio della sorveglianza archeologica, si trova all’incrocio delle murature che separano gli ambienti 3-6; si tratta di una tomba in muratura, con i muretti di delimitazione in conci squadrati di pietra ed il fondo in laterizi [Fig. 63].
Figura 63. Tomba ad Sanctum in muratura, realizzata presso l’altare del Beato Egidio da Laurenzana, e costruita sfruttando l’incrocio dei muri di delimitazione degli ambienti 3-6 (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
La particolare posizione, a breve distanza dalla facciata e dall’ingresso, ed in direzione dell’altare del Beato Egidio da Laurenzana ne fanno una tomba privilegiata, quasi una sepultura ad Sanctum. Questo dato qualifica tutta l’area come privilegiata per le sepolture. La copertura doveva essere costituita da una lastra di pietra, probabilmente una di quelle con iscrizione depositate presso l’ingresso della chiesa.
Qualche considerazione va fatta a proposito dell’alta frequenza di inumazioni depositate nell’ambiente 3; è plausibile pensare che possa trattarsi di un caso di sepoltura comunitaria sub stillicidio, ovvero dettata dal desiderio di essere quanto più possibile a contatto con l’acqua piovana santificata dal contatto con il tetto e i muri della chiesa; si tratta di una pratica risalente al Tardo Medioevo. Se si segue questa teoria, si può anche spiegare l’altissimo numero di inumazioni infantili e subadulte, sia entro cassa lignea sia sconvolte, sia rinvenute entro sacchi o “sudari” di stoffa; l’ambiente 3 deve quindi essere stato destinato, ad un certo momento almeno del suo utilizzo, ad accogliere deposizioni infantili.
L’uso del sudario in luogo di un contenitore ligneo è ampiamente attestato in contesti tardo e postmedievali, anche fuori dal territorio italiano (dove però mancano attestazioni iconografiche). L’uso è attestato in Francia, da cui poi si diffuse in area tedesca ed in Inghilterra, dove ritroviamo esempi iconografici legati ad una tradizione orrorifica della morte: sono infatti attestati monumenti funerari su due livelli (le cosiddette tombes transis), che ritraggono in alto il defunto in posizione supina, a rappresentare l’immortalità dell’anima, ed in basso lo stesso defunto avvolto completamente o parzialmente nel sudario, il cui corpo è rappresentato in avanzato stato di decomposizione, ad indicare la caducità e corruttibilità della carne.
Alcune considerazioni vanno fatte per quanto riguarda l’aspetto paleopatologico ed archeoantropologico dei reperti ossei rinvenuti durante lo scavo; si sono infatti riscontrati numerosi traumi da stress a carico delle ossa, oltre all’incidenza di fratture mal composte delle ossa lunghe e a malattie congenite.
In particolare è sembrato interessante il caso di un femore che a seguito di una brutta frattura, originatasi forse a causa di una caduta, è andato incontro ad un’errata calcificazione, con il conseguente sensibile accorciamento dell’osso; è possibile che non sia stata però questa la causa della morte dell’individuo, in quanto attorno alla frattura si era formato un consistente callo osseo [Fig. 64].
Figura 64. Femore umano con i segni di una frattura malcomposta, che ha causato un sensibile accorciamento dell’arto; si nota il callo osseo dall’aspetto spinoso, dovuto alle schegge inglobate nel tessuto di nuova formazione (foto Giacomo Cirsone).
In un altro caso, è stata riscontrata una frattura di un cranio, dovuta ad un colpo ricevuto con un oggetto contundente, parzialmente calcificata al momento della morte dell’individuo; e sempre su un cranio sono stati osservati i segni lasciati sulle orbite dall’anemia mediterranea (o talassemia), detti cribra orbitalia, consistenti in piccoli forellini situati sotto la volta delle orbite.
Sotto l’aspetto delle malattie congenite, si segnala un osso sacro recante i segni della cosiddetta “spina bifida”, dovuta alla mancata chiusura del canale neurale nella parte terminale del bacino e della colonna vertebrale, che lascia così scoperto il midollo spinale [Fig. 65].
Figura 65. Osso sacro con i segni della mancata chiusura del canale spinale (foto Giacomo Cirsone).
Nel complesso si registrano reperti ossei di dimensioni superiori alla media, forse a causa dell’adattamento alla vita di montagna, con ossa lunghe degli arti di notevole grandezza e robustezza, e con patologie da sforzo (dovute a lavori pesanti), a carico dei tendini (sindesmopatia) e delle articolazioni (entesopatia), che hanno lasciato tracce visibili sulle ossa.
Cronologia e fasi
Fase 1
La prima frequentazione del sito si deve far risalire ad alcuni secoli prima dell’attestazione della Chiesa Madre nelle fonti scritte; le fosse antropoidi cavate nell’arenaria, intercettate nell’ambiente 1 e parzialmente obliterate da uno dei muri del vano ne sono la prova, rappresentando delle preesistenze; essendo state rinvenute già sconvolte, è possiblie pensare che ciò sia avvenuto al momento dell’edificazione della chiesa [Fig. 66].
Figura 66. Pianta dell’area di scavo: in tratteggio rosso sono indicate le fosse antropoidi e la fossetta/pozzetto, che testimoniano la prima utilizzazione del sito a scopo funerario, ben prima della fondazione della chiesa (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
Tipologicamente queste fosse si avvicinano molto ai loculi degli ipogei paleocristiani di Siponto (Manfredonia, FG) o del Gargano, o a quelli cavati nel tufo nelle catacombe ebraiche e cristiane di Venosa (PZ), o in quelle di Roma; se si tratta davvero di sepolture, anche solo accostabili per tipologia a quelle d’età tardoantica o altomedievale, avremmo la testimonianza della prima fase di frequentazione del sito, antecedente di alcuni secoli la data di fondazione della chiesa; se si sposta la cronologia nell’Altomedioevo, si potrebbero mettere in relazione le due fosse con i vani ipogei presenti nel castello, che la tradizione erudita locale attribuisce ad una presenza monastica basiliana, o comunque greco-bizantina. La presenza di sepolture tardoantiche si accorderebbe con l’origine del toponimo ‘Laurenzana’, che alcuni eruditi locali fanno derivare da Laurentianum, riconducibile al nome di un probabile ma ancora non individuato possedimento imperiale (fundus o praedium), presente nella zona.
Una considerazione va fatta sulla localizzazione delle sepolture in un luogo eminente sul territorio circostante, che si accorda con il fenomeno di progressivo spopolamento delle pianure e delle valli, a favore dei siti d’altura meglio difendibili, tra i secoli V e VII-VIII, ovvero dall’arrivo dei Goti in Italia fino allo stabilirsi definitivo dei Longobardi nella penisola; l’arrivo di questi ultimi in Lucania provoca comunque il formarsi di due distinte sfere d’influenza politico-culturale, sebbene dai confini molto labili e mutevoli: da una parte i Longobardi del Ducato di Benevento (frazionatosi poi nei Principati di Benevento, Salerno e Capua) che esercitano il loro potere sul Vulture (con le città di Venosa e Acerenza) e la Basilicata settentrionale, e dall’altra i Bizantini che controllano tutta la zona compresa tra lo Ionio ed il Tirreno, parallela al massiccio del Pollino: il Μερκούριον (la fascia di territorio compresa nella valle del fiume Lao), il Λατινίανον (la parte orientale della Basilicata fino alla fascia ionica, appartenente al tema bizantino di Langobardia), ed il Lagonegrese, in cui rientra Laurenzana. La datazione oscilla quindi tra il V ed il VII secolo, se si pone un collegamento tra il toponimo ‘Laurenzana’ e le tombe; se invece si sceglie di porre un legame con la supposta presenza basiliana o greco-bizantina sulla rupe del castello, allora il range cronologico arriva fino al X secolo; solo ulteriori indagini stratigrafiche, non solo nella Chiesa Madre ma anche in altri punti dell’abitato di Laurenzana potrebbero fare luce sull’una o sull’altra ipotesi.
Fase 2
Stando alle fonti letterarie, la prima attestazione della Chiesa Madre si ha nel 1214, quando hanno inizio i lavori di costruzione dell’edificio, in piena età sveva, sotto il regno dell’imperatore Federico II di Svevia (1212-1250), che fu anche re di Sicilia (1198-1250); la consacrazione avviene invece nel 1222; è possibile stando alle notizie degli eruditi locali che la chiesa sia sorta inglobando le strutture di una precedente torre d’età normanna; qualche considerazione va fatta sulla toponomastica: la chiesa è attestata con il titolo di Sancta Maria de Plataeiis, ed è quindi presumibile che sia stata edificata presso un luogo pubblico o comunque a disposizione della comunità, dato che il termine plataea è una trascrizione latina del termine greco πλατέια, che in alcuni contesti bizantini indica proprio una strada principale o una piazza; inoltre il termine è attestato a Castel Fiorentino (presso Torremaggiore, FG), ancora in età normanna; niente vieta di pensare che nel caso di Laurenzana possa trattarsi della sopravvivenza toponomastica di una situazione precedente. Lungi dall’escludere tale possibilità, in quanto archeologicamente non rilevabile, la struttura muraria stratigraficamente più antica è costituita dal poderoso muro 2, di orientamento N-S, al quale si appoggiano molte delle strutture del settore settentrionale dell’area di scavo [Fig. 67].
Figura 67. Pianta dell’area di scavo: in arancione è indicata l’USM 2, probabilmente pertinente ad un nucleo edilizio distinto, con le relative strutture di fondazione intercettate negli ambienti 1, 2 e 4 (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
A questa fase sono pertinenti anche le strutture di fondazione rinvenute negli ambienti 1, 2, e 4, che lasciano ipotizzare la presenza di un nucleo edilizio distinto, che si estende al di sotto della navata centrale della chiesa, ma che non sarà possibile verificare fino a quando non verranno compiute nuove indagini archeologiche. Sulla base delle considerazioni fatte, si propone una datazione non anteriore al XIII secolo, mancando altri elementi per poter alzare o abbassare la cronologia.
Fase 3
Questa fase costruttiva si divide in due momenti ben distinti; il primo momento (3a), vede la costruzione dell’USM 10, che come accennato, si configura quasi come un prospetto monumentale ad archi; successivamente vengono edificate le murature che sostengono le volte degli ambienti 1-2 e 7-8; tra queste anche l’USM 3, che va ad impostarsi sulla fondazione dell’USM 2 e con il suo ingombro ne oblitera il rivestimento in intonaco di calce (USR 72) [Fig. 68].
Figura 68. Pianta dell’area di scavo: in giallo chiaro sono evidenziate le strutture della fase 3a, che segnano la scansione definitiva del settore settentrionale dell’area (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
Non è stato possibile verificare quale rapporto esista tra le strutture pertinenti a questa fase ed il muro W della chiesa, sul quale inoltre è visibile all’esterno una finestra monofora ad ogiva di stile gotico, attribuita dagli eruditi locali ad età normanna; al momento non sono emersi elementi tali che possano collegare in qualche modo la presenza di questa finestra ad eventuali resti antecedenti al XIII secolo. In base ai reperti rinvenuti, ed in particolare di due brocche in ceramica invetriata, e di due monete d’età angioina (un carlino ed un gigliato), la fase 3a si data tra la seconda metà del XIII ed il XV secolo.
La fase 3b vede la chiusura dei due archi dell’USM 10 ed il progressivo isolamento del settore settentrionale dell’area di scavo, anche a causa della probabile completa obliterazione degli ambienti [Fig. 69].
Figura 69. Pianta dell’area di scavo: in giallo chiaro sono evidenziati i due muri di tamponamento degli archi che si aprono nell’USM 10, pertinenti alla fase 3b, che segnano la chiusura definitiva del settore settentrionale dell’area (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
La chiusura del settore settentrionale deve essere collocata prima degli interventi di ampliamento e rifacimento della chiesa, antecedenti quindi il 1583.
Fase 4
Anche per la fase 4 sono stati distinti più momenti; nella fase 4a si ha l’escavazione del banco roccioso, come si è verificato nell’ambiente 4, fino ad 1 m circa dalle fondazioni dei muri preesistenti, e la lavorazione a terrazze del piano di roccia che nel settore meridionale dell’area di scavo presenta notevoli differenze di quota ed una pendenza marcata in direzione S.
È ipotizzabile, ma non direttamente verificabile senza ulteriori indagini, che sia stato realizzato in questo momento il prolungamento del muro W della chiesa con l’edificazione in fase della facciata esposta a S; tracce di questa fase di cantiere si sono rinvenute nell’ambiente 5, dove sono state individuate una fossa di scarico obliterata con ceramica ed ossa (forse residui di pasto), e la fossa di fondazione dell’USM 18 (facciata S dell’edificio); in un secondo momento viene edificato un muro di orientamento N-S, l’USM 58, che si appoggia sia allo stipite W dell’USM 10, sia al muro W della chiesa [Fig. 70].
Figura 70. Pianta dell’area di scavo: in verde sono evidenziati l’ipotizzabile prolungamento dell’USM 32 che si lega alla facciata S della chiesa; la fase di cantiere è evidenziata dalla presenza di una fossa di scarico e dalla fossa di fondazione dell’USM 18; in un momento di poco successivo viene edificato il muro 58 (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
Questa prima fase di cantiere è collocabile nel XVI secolo, in base ai reperti rinvenuti a contatto quasi diretto con il banco di arenaria nell’ambiente 4.
La fase 4b vede la costruzione dei muri di delimitazione dei quattro ambienti del settore meridionale dell’area di scavo; si viene così configurando il secondo nucleo costruttivo, dopo quello degli ambienti 1-2 e 7-8, costituito dagli ambienti 3-6; è probabile che questo nucleo edilizio si estenda al di sotto della chiesa, dato che le murature del versante E terminano oltre la sezione dello scavo.
Tutte queste strutture nel loro complesso si appoggiano a quelle preesistenti e sembrano essere databili tra il XVI e la fine del XVIII secolo, in accordo con i dati forniti dall’indagine stratigrafica, e grazie anche al ritrovamento di un documento cartaceo datato al 1816, durante il regno di Ferdinando IV di Borbone, Re delle Due Sicilie, che costituisce un terminus ante quem per le murature di questi ambienti [Fig. 71].
Figura 71. Pianta dell’area di scavo: in verde chiaro sono evidenziati i muri di delimitazione degli ambienti 3-6, pertinenti alla fase 4b; sul versante E dell’area di scavo, queste murature finiscono al di sotto della sezione di scavo, lasciando ipotizzare una prosecuzione di questo nucleo costruttivo sotto la navata della chiesa (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
I rifacimenti, uniti alle condizioni d’instabilità del sostrato geologico, devono avere suggerito l’erezione di una serie di murature di rinforzo, che segnano un terzo momento costruttivo in questa fase (4c); in particolare viene eretto un muro di rinforzo (USM 19), nell’ambiente 5, forse atto a sostenere la volta, ritenuta instabile, ma che in realtà non ha mai esercitato alcuna funzione portante; anche nell’ambiente 4 viene compiuta un’operazione analoga, che sembra avere avuto maggiore successo, con la costruzione del muro 66; infine si segnala nell’ambiente 6, la costruzione del muro 50, di orientamento NW-SE, impostato diagonalmente all’ambiente stesso [Fig. 72].
Figura 72. Pianta dell’area di scavo: in rosa sono evidenziati i due muri di rinforzo negli ambienti 4 e 5, ed il muro trasversale di orientamento NW-SE dell’ambiente 6, pertinenti alla fase 4c (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
Questa serie d’interventi possono essere collocati tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo.
Fase 5
L’ultima fase di utilizzo dell’area di scavo a scopo sepolcrale, è rappresentata dalle sepolture ricavate sul pavimento o subito al di sotto di esso, sfruttando i riempimenti delle volte degli ambienti; in particolare si segnalano due fosse terragne nella zona settentrionale dell’area di scavo, che accoglievano due individui adulti, parzialmente sconvolti; queste due sepolture furono realizzate in un momento in cui non doveva esservi più alcun modo di poter accedere agli ambienti sottostanti, ne doveva essere possibile seppellire negli ambienti della parte meridionale.
All’incrocio delle sottostanti murature della fase 4b, fu impostata una poderosa tomba in muratura, destinata probabilmente ad un individuo importante all’interno della comunità; i racconti orali risalenti al momento dell’apertura della tomba, precedente l’inizio dell’indagine archeologica, narrano del rinvenimento di un individuo vestito con un saio, probabilmente un membro dell’ordine francescano, presente a Laurenzana dal XV secolo almeno, nel convento di Santa Maria della Neve (attuale Cimitero Comunale). La presenza di una tomba in una simile collocazione privilegiata, può essere messa in relazione con la vicinanza dell’altare dedicato al Beato Egidio da Laurenzana (1443-1518), il cui culto fu autorizzato nel 1880, come ricorda un’iscrizione apposta sul primo pilastro a sinistra dell’ingresso, e le cui spoglie mortali (qui traslate il 22 ottobre 1879) sono state conservate nella Chiesa Madre fino all’inizio dei lavori di restauro dell’edificio. Si tratterebbe quindi di una sorta di tomba ad Sanctum, sopravvivenza di un uso attestato nella cristianità occidentale e orientale dall’età tardoantica. Per analogia è possibile che anche le due sepolture terragne siano state dettate dalle medesime esigenze, quasi che la vicinanza al corpo venerato assicurasse una maggiore protezione al defunto o un “lasciapassare” per il Paradiso [Fig. 73].
Figura 73 Pianta dell’area di scavo: in blu sono evidenziate le sepolture terragne nella parte meridionale dell’area indagata; nel settore a N invece sono indicati la tomba in muratura impostata all’incrocio delle strutture di delimitazione dei sottostanti ambienti 3-6, e la base in muratura dell’altare del Beato Egidio da Laurenzana (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
L’uso funerario della pavimentazione della chiesa deve collocarsi necessariamente entro la prima metà dell’800; dopo tale termine, ed ancor più dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie allo Stato unitario italiano nel 1861, inizia a farsi strada l’esigenza di seppellire i defunti in un luogo apposito, ed a tale scopo viene scelto il sito dell’antico convento francescano di Santa Maria della Neve (XV secolo), acquisito a seguito dell’incameramento da parte dello Stato dei beni di proprietà ecclesiastica nel 1865, ma la cui utilizzazione come cimitero materialmente non inizia prima del 1902.
Fase 6
L’ultima fase (6) vede i danni provocati dall’usura del tempo sulle strutture murarie, dai vari terremoti (tra cui quelli del 1857, e del 1980 che ha causato notevoli danni in tutta la Basilicata, oltre che in Puglia e Campania), ed in ultimo i lavori di restauro e consolidamento condotti senza le necessarie cognizioni tecniche volte a salvaguardare un bene architettonico di particolare interesse quale è la Chiesa Madre.
Tra le lesioni provocate dall’usura del tempo si segnala la formazione di un’Unità Stratigrafica di Dissesto, l’US -35, di orientamento N-S, che interrompe la continuità strutturale degli ambienti 1 e 7.
Dovuta invece ad un evento sismico è la lesione muraria (US -59), che separa il semipilastro 60 ed il muro 49, dal muro 58, nell’ambiente 3. Si tratta più che di una lesione, dello “scollamento” delle strutture murarie coinvolte, le quali già in antico erano relazionate da un rapporto di appoggio, e quindi non in fase; non si è comunque in grado di determinare se la lesione si sia originata con il sisma del 1859 o con quello molto più recente del 1980 [Fig. 74].
Figura 74. Pianta dell’area di scavo: in grigio sono riportati i cordoli e le travi in cemento della griglia antisismica (I-VII), i pilastri della navata centrale della chiesa (1-3), e in tratteggio le Unità Stratigrafiche di Dissesto causate da usura del tempo, eventi sismici ed interventi umani, pertinenti alla fase 6 (disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone).
Entrambe queste lesioni sono state aggravate dai lavori compiuti nella chiesa tra gli anni ’80 e ’90 del XX secolo, che hanno comportato anche la distruzione delle volte degli ambienti 3 e 6, oltre al danneggiamento irrimediabile della stratigrafia archeologica e delle deposizioni negli stessi ambienti, a causa delle iniezioni di cemento effettuate dall’esterno della chiesa in più punti della muratura perimetrale 32, a fini di consolidamento statico. Dopo il sisma del 1980, inoltre, fu posta in opera una griglia in cemento armato, impostata sulle murature perimetrali, e realizzata senza il minimo rispetto per le strutture preesistenti risultate pesantemente danneggiate, o in altri casi inglobate nel cemento stesso, come per la volta dell’ambiente 4, parzialmente inglobata in una delle travi di cemento della griglia antisismica.
In appendice si allega una Tavola riassuntiva completa della periodizzazione del sito, basata sulla pianta redatta al momento della sospensione del cantiere all’11/12/2008.
Tavola I. Pianta complessiva dell’area di scavo, completa di periodizzazione: in rosso fase 1 (V-VII secolo?); in arancio fase 2 (prima metà del XIII secolo); in giallo chiaro fase 3a (seconda metà del XIII-XV secolo); in giallo scuro fase 3b (inizi del XVI secolo); in celeste fase 4a (XVI secolo); in verde fase 4b (XVI-XVIII secolo); in rosa fase 4c (fine del XVIII-inizi del XIX secolo); in blu scuro fase 5 (prima metà del XIX secolo); in grigio fase 6 (fine del XIX-fine del XX secolo) [Disegno ed elaborazione grafica Giacomo Cirsone].
Scarica l’addendum – relazione scavo 2009 (10,4 Mb)
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